Qui Roma – Ghetto, una nuova prospettiva
“Dentro e fuori dal ghetto” (ed. Mondadori Education), il nuovo libro di Micol Ferrara, docente del diploma di laurea triennale in studi ebraici dell’UCEI, non è un semplice manuale di storia o di storia sociale, ma si spinge ancora più in profondità: scavalcate le barriere fisiche e temporali ricostruisce la topografia del ghetto di Roma in età moderna, si fa strada fra gli altissimi angusti palazzi nei quali per secoli furono confinati gli ebrei; mattone dopo mattone riassembla il ghettarello, il ghetto scomparso riportato recentemente alla luce dallo studioso Giancarlo Spizzichino (1938-2014) e rianima i rapporti che intercorsero tra cristiani ed ebrei attraverso la figura dei convertiti.
Questo e molto altro è quanto emerso durante la presentazione dell’opera che ha visto il confronto, nella cornice del Museo di Roma in Trastevere, di Gianni Di Domenico, responsabile di Mondadori Education; Martine Boiteux (École française de Rome); Claudio Canonici (Issr “A. Trocchi”); Michael Gasperoni (École française de Rome) e Carlo Maria Travaglini (Università degli Studi Roma Tre), moderati da Myriam Silvera, coordinatrice del diploma triennale UCEI, e alla presenza di numerosi storici tra cui Anna Foa, che del libro firma la prefazione, e di David Kertzer, studioso del rapporto tra ebraismo e Chiesa e autore, fra gli altri, del volume “Prigioniero del Papa Re” (ed. Rizzoli) incentrato sul caso di Edgardo Mortara.
“Questo libro è molto interessante – spiega Myriam Silvera – e lo si vede anche dall’entusiasmo degli studenti del diploma triennale, che hanno accolto con interesse e curiosità la ricerca della loro docente e hanno apprezzato ancora di più il valore degli archivi, in special modo quello della Comunità ebraica romana”.
“In qualità di responsabile editoriale di Mondadori Education – sottolinea Gianni Di Domenico – non posso non ammettere di aver letto il libro più e più volte. Di fronte agli studi della Ferrara ci siamo a lungo chiesti in quale collana inserire ‘Dentro e fuori dal ghetto’: questo infatti è molto di più di un manuale universitario, ma va anche oltre un libro di storia. Ci sembrava di porre un confine disciplinare in realtà inesistente”.
Martine Boiteux entra poi nel vivo del contenuto: “Vorrei iniziare partendo dalle attestazioni della parola ‘ghetto’ nei vocabolari: se nel ‘700 l’Accademia della Crusca lo definiva come il luogo dove devono vivere gli ebrei; con gli anni la descrizione si è affinata sempre di più: si evidenzia l’isolamento e il termine diventa sinonimo di confusione. La sua etimologia viene localizzata a Venezia: verrebbe infatti dalla parola getto che indica la fusione del rame. Dopo l’abbattimento dei ghetti nel 1870 diventerà poi un toponimo anche affettivo, senza avere più valenza amministrativa”. “Ferrara – continua – nel suo lavoro ha usato fonti e incrociato dati ricostruendo casa per casa e ponendo l’attenzione sui luoghi condivisi: un lavoro esemplificato poi nella digitalizzazione che correda il libro con le sue ricostruzioni multimediali. Le due vere novità sono i capitoli dedicati al ghettarello e agli ebrei convertitisi al cattolicesimo”.
“Condivido pienamente il metodo usato da Micol – aggiunge Carlo Maria Travaglini – Il suo è stato un approccio storico, sociale, economico e culturale che ha valorizzato i dati emersi dallo studio del territorio pur esimendosi dal dare una connotazione ideologica molto insidiosa”.
Entusiasta del lavoro Michael Gasperoni, che da anni studia gli insediamenti ebraici nelle Marche: “Con il suo libro Ferrara ha abbattuto un altro ghetto: quello che si innalza tra le diverse discipline e pone in isolamento le ramificazioni delle scienze sociali, scalcando così i loro limiti epistemologici. Il ghetto diventa studio del luogo, della storia ma anche della natura umana e sociale”.
Conclude Claudio Canonici: “Ricopro attualmente l’incarico di docente di Storia della Chiesa ma non dimentico il mio punto di partenza: quello di dottorando in storia rurale e storia urbana. Rispetto a ‘Dentro e fuori dal ghetto’ vorrei porre l’accento in particolare sul lavoro fatto nello studio delle famiglie convertite, dove erano e dove vivevano. Delle figure che sembravano fino adesso come foglie che galleggiano in un bosco scomparso”.
Rachel Silvera
(10 giugno 2015)