Qui Milano – L’impegno d’Israele Nepal, i numeri della solidarietà
Oltre mille persone curate in undici giorni di missione, 150 i medici e operatori sanitari al lavoro, il primo ospedale da campo realizzato a Kathmandu, messo in piedi in 24 ore. Sono i numeri a parlare e meglio descrivere l’impegno dell’esercito israeliano e del Maghen David Adom durante la missione umanitaria in Nepal, avviata immediatamente dopo il terremoto che ha sconvolto il Paese lo scorso aprile e che è costato la vita a 8mila persone. “Mentre eravamo a Kathmandu, l’Onu ha trasmesso una direttiva alle squadre di soccorso presenti nella zona chiedendo di portare i feriti all’ospedale da campo israeliano”, ha spiegato alla Comunità ebraica di Milano il colonnello di Tsahal Eran Tal-Or, capo medico della missione israeliana in Nepal, nel corso di una serata organizzata dal Keren Hayesod Milano e a cui hanno partecipato tra gli altri il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach e i presidenti della Keillah milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani. “Siamo orgogliosi di poter raccontare l’impegno umanitario di Israele”, ha sottolineato in apertura Andrea Jarach, nominato recentemente presidente della sezione milanese del Keren Hayesod, organizzazione internazionale che ha dato il suo supporto alla missione in Nepal.
“Siamo arrivati in serata e il mezzogiorno seguente eravamo già operativi, con l’ospedale da campo attrezzato per curare i feriti”, ha spiegato Tal-Or. Un’ospedale suddiviso in diversi reparti, da chirurgia a ostetricia, con una sala parto attrezzata dove è nato il primo bambino nepalese dopo il terremoto. “Era già accaduto in Turchia e ad Haiti”, il ricordo del colonnello che più volte ha citato l’aiuto fornito a bambini nel corso dell’operazione. Un aiuto non solo strettamente medico ma diretto ad alleggerire momenti di grande tensione e paura attraverso il sorriso: “Con noi c’erano anche cinque clown – ha spiegato il medico di Tsahal – che erano parte integrante della missione e che hanno fatto un lavoro straordinario e fondamentale”. Tanti i racconti di quegli intensi giorni a Kathmandu. “Abbiamo trovato una donna imprigionata sotto le macerie da sei giorni. Era ancora viva. Era rimasta bloccata lì per tutto quel tempo con al suo fianco un corpo senza vita”. A scandire le ore di lavoro, il rumore degli elicotteri. “Come in tutte le operazioni di emergenza, appena sentivamo gli elicotteri avvicinarsi, ci dirigevamo di corsa sul posto per verificare le condizioni dei pazienti e prestare le prime cure”. In breve tempo, come dimostra il messaggio dell’Onu a tutti gli operatori sul campo, l’ospedale israeliano è diventato il punto di riferimento dell’area.
“Siamo rimasti il tempo necessario per permettere alle autorità locali di organizzare delle proprie strutture mediche. Abbiamo curato persone ferite nel corso del terremoto così come fornito un servizio sanitario gratuito a molti cittadini nepalesi, da check up completi a donne incinta alla somministrazione di antibiotici a bambini malati”. “Un giorno si è presentata una bambina in lacrime – ha raccontato Tal Or – non era malata però piangeva a dirotto. Lo presa in braccio per farla smettere, per rassicurarla ma nulla. Poi un altro medico mi ha detto ‘ho portato con me alcune magliette del Barcellona, potrei regalargliene una’. Appena ha ricevuta la sua maglietta del Barca la bimba ha cominciato a sorridere”.
d.r.
(12 giugno 2015)