Qui Milano – L’indifferenza. Di ieri e di oggi

IMG_20150623_162201“Ci eravamo detti che non avremmo abbandonato mai più il nostro prossimo al suo destino. Ma è davvero così?”. Una domanda dura ma necessaria quella posta da Ferruccio De Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, nel corso dell’incontro “Il peccato dell’indifferenza – L’Europa e i perseguitati di oggi e di ieri”, svoltosi ieri nelle sale del Memoriale di Milano con l’intervento della Testimone e presidente dell’Associazione Figli della Shoah Liliana Segre, protagonista dell’evento assieme al giornalista Gad Lerner, il senatore Luigi Manconi e Seble Woldeghiorghis, dell’assessorato alle Politiche sociali di Milano. Una questione, quella posta dal titolo dell’incontro a cui era presente il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e vicepresidente del Memoriale Roberto Jarach, che emerge alla luce di quanto accade nel Mediterraneo e delle riflessioni che ogni anno coinvolgono l’Europa rispetto alla Memoria della Shoah. Quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale, la macchina di morte creata dai nazifascisti per eliminare gli ebrei ed altre minoranze, è irripetibile ma ci sono alcuni comportamenti che oggi come allora trovano forme di espressione: su tutti l’indifferenza, parola che Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, ha voluto fosse scolpita a caratteri cubitali all’ingresso del Memoriale di Milano, quel Binario 21 da cui – nell’indifferenza di molti italiani – furono deportate centinaia di persone. “Oggi non è come allora – ha ricordato Segre riferendosi alla tragedia dei profughi che sbarcano sulle nostre coste, in fuga dai paesi natii, da guerre e persecuzioni – Almeno se ne parla, i governi ne discutono, non sanno come agire ma almeno ne parlano”. La Testimone rievoca poi un parallelismo fino ad oggi taciuto da molti: il ripresentarsi di persone che lucrano sulla sofferenza altrui. Allora erano i passatori, con cui Segre ebbe diretto contatto (la sua famiglia cercò di scappare in Svizzera pagando una persona per oltrepassare il confine e cercare riparo dalle persecuzioni, venendo però bloccata dall’insensibile rigidità di un soldato svizzero), che sfruttavano le vittime in cambio di denaro e promettendo la salvezza, oggi sono gli scafisti, che agiscono secondo le stesse modalità. “Oggi si parla degli scafisti della Libia – sottolineava Segre – ma anche io li ho conosciuti, sotto un altro stile di vita, o di morte se preferite, ed erano italiani, quegli italiani brava gente”.
Una richiesta ad agire per aiutare i profughi oggi e in modo concreto è arrivata da Woldeghiorghis, che ha sottolineato come “non basta un like su Facebook per dimostrare di non essere indifferenti al problema”. Azioni concrete, ha ricordato il senatore Manconi, che il Memoriale ha compiuto: da lunedì infatti la struttura è diventata un centro di accoglienza provvisorio, ospitando per la notte – grazie alla collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio – una trentina di profughi. Bambini, donne e uomini a cui sono stati forniti pasti e brandire per dormire. “Una decisione meritoria”, ha sottolineato Manconi, che riflettendo poi sul tema dell’incontro ha spiegato come l’indifferenza di fronte alla tragedia altrui sia “la tentazione umana di fare un passo indietro di fronte alla propria responsabilità, una dichiarazione di sottrazione dal legame sociale, dal vincolo di reciprocità che ci unisce in quanto uomini”. Un aspetto, quello della deresponsabilizzazione, oggetto dell’analisi di Gad Lerner. “Ci sono diversi meccanismi per metterla in pratica. Nel 1938, durante la Conferenza di Evian dedicata al tema dei rifugiati ebrei provenienti dalla Germania nazista, fu posta la questione delle quote dei profughi. La Svizzera, che si era rifiutata persino di ospitare la conferenza, disse che ‘la barca era piena’. Quando gli Stati Uniti di Roosevelt dichiararono di non essere pronti ad allargare la propria quota, gli altri Paesi ne seguirono l’esempio”. Una dimostrazione di come le scelte politiche di voltarsi, chi più chi meno, dall’altra parte pesarono sul futuro delle vittime della Seconda Guerra Mondiale. “Poi c’è un altro meccanismo di deresponsabilizzazione. Quello che usa il degrado”. Quello che si arma di retorica e afferma che i profughi fanno i furbi, che si lamentano degli hotel pagati da ‘noi’ e che se lo fanno in fondo non stanno così male o forse si meritano la loro condizione. “Dobbiamo aver ben presente il serpeggiare di questa retorica, che associa uomini e donne a topi, che parla di clandestini che ci invadono. In merito a queste situazioni l’esperienza ebraica può essere utile alla società”, ha spiegato Lerner.

Daniel Reichel
(24 giugno 2015)