Qui Ginevra – “Basta pregiudizi contro Israele all’Onu chiediamo imparzialità”
“La sfida più grande e priorità più importante per noi è che il Consiglio per i Diritti umani sia equo nel giudizio di tutti i suoi membri, altrimenti perde la sua efficacia e dunque la sua ragione di esistere” ha dichiarato nelle scorse ore a Ginevra Robert Singer, direttore del World Jewish Congress. Al suo fianco decine di istituzioni e organizzazioni ebraiche, riunitesi oggi nella città svizzera per protestare contro il trattamento riservato a Israele dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc). Una protesta indetta in concomitanza con la presentazione proprio a Ginevra, sede dell’Unhrc, del rapporto stilato da una commissione Onu sul conflitto esploso lo scorso anno a Gaza tra Israele e Hamas. Nel rapporto (pubblicato lo scorso 22 giugno), duramente contestato dal governo di Gerusalemme, si accusa sia l’esercito israeliano sia i terroristi di Hamas di “crimini
di guerra” e violazioni del diritto internazionale. “Vogliamo chiarire alle Nazioni Unite che applicare due pesi e due misure nel giudicare Israele, dipingendolo falsamente come un violatore seriale dei diritti umani o anche solo mettendo uno Stato democratico nella medesima categoria di Hamas e di altre organizzazioni terroristiche non solo è ingiusto, ma danneggia gravemente anche la reputazione dell’Onu e la salvaguardia dei diritti umani stessi”. L’appello di Singer, a nome del World Jewish Congress, organizzazione che ha promosso la manifestazione odierna, nata per sottolineare il pregiudizio dimostrato sino ad oggi dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu nei confronti di Israele: basti pensare che dalla sua creazione (nel 2006), il 35 per cento dei rapporti discussi in seo al Consiglio erano legati a Israele.
Alla manifestazione indetta dal World Jewish Congress hanno aderito tra gli altri, riunendosi nella Place des Nations, anche l’associazione Amici d’Israele, le Comunità ebraiche di Milano e Torino, e poi lo European Jewish Congress, l’American Jewish Committee, il B’nai B’rith International, il Conseil Représentatif des Institutions juives de France, la European Union of Jewish Students e la World Union of Jewish Students.
L’inchiesta dell’Onu è stata portata avanti da una commissione presieduta da Mary McGowan Davis, ex giudice della Corte Suprema di New York, che ha redatto il controverso rapporto insieme al consulente legale senegalese Doudou Diène. Mc Gowan Davis ha sostituito il canadese William Schabas costretto alle dimissioni lo scorso marzo dopo che era emersala notizia di una sua precedente consulenza legale a pagamento in favore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Un conflitto di interessi denunciato da Israele che ha costretto il giudice canadese a fare un passo indietro.
Nel rapporto viene analizzata la situazione della Striscia di Gaza dopo il conflitto. “L’entità della devastazione e della sofferenza umana a Gaza non ha precedenti e avrà un impatto sulle generazioni a venire”, ha dichiarato McGowan Davis, che ha sottolineato anche la minaccia costante di cui sono stati vittima i civili israeliani con gli attacchi compiuti dai terroristi di Hamas e delle altre fazioni islamiste. La presidente ha esortato la comunità internazionale ad agire sulla base delle conclusioni della relazione, in primo luogo sostenendo un’indagine da parte della Corte penale internazionale dell’Aia sullo stato dei territori palestinesi.
Tra le cifre fornite dal rapporto, si calcola che Hamas abbia lanciato più di 4800 razzi e più di 1700 colpi di mortaio, uccidendo sei civili israeliani e ferendone 1600. Sarebbero invece 1462 i civili palestinesi uccisi dalle Forze di difesa israeliane durante le ostilità, un terzo dei quali bambini.
Uno dei punti più controversi dell’inchiesta è legata alla denuncia da parte della Commissione dei raid aerei compiuti dalle forze armate israeliane durante il conflitto, azioni mirate a distruggere Hamas e precedute da un intenso sistema di avvisi alla popolazione civile palestinese per garantirne l’incolumità. “Il fatto che Israele non abbia rivisto le sue pratiche negli attacchi aerei, – l’accusa formulata all’interno del rapporto – anche dopo che i loro effetti devastanti per la popolazione civile sono diventati chiari, solleva la questione se questo fosse parte di una politica più ampia che è stata quanto meno tacitamente approvata dai più alti vertici del governo”. La commissione ha quindi espresso preoccupazione per le armi usate nell’offensiva israeliana, che sebbene non illegali avrebbero messo in pericolo molti civili oltre che i combattenti armati, e criticato anche gli avvertimenti dati da Tsahal agli abitanti di Gaza prima dei raid aerei, affermando che essi “condannavano chiunque fosse rimasto nella zona come persona coinvolta nella guerra” e che “tale politica ha portato a una maggiore probabilità di ferire civili”.
Per quanto riguarda l’aggressione palestinese, si sottolinea nel rapporto lo stato di ansia percepita tra la popolazione israeliana durante l’Operazione Margine protettivo, a causa della costante minaccia
causata dal lancio indiscriminato di missili da parte di Hamas e delle altre fazioni islamiste della Striscia. L’indagine fa poi riferimento ai tunnel sotterranei costruiti dai terroristi per oltrepassare il confine, introdursi in territorio israeliano e colpire la popolazione.
Il governo israeliano, che ha rifiutato di cooperare con l’inchiesta dell’Unhrc, considerato troppo di parte, ha fortemente criticato il rapporto, in particolare in relazione al paragone dei gruppi terroristici palestinesi con l’esercito israeliano. “Israele non ha commesso crimini di guerra, ma si è difesa da quelli commessi da organizzazioni terroristiche”, ha precisato il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha anche definito la relazione “illegittima nel suo concepimento, inadeguata nella sua esecuzione e immorale nella sua conclusione”.
Le stesse critiche sono emerse dalle reazioni dei leader delle maggiori istituzioni ebraiche. “La commissione istituita dall’Onu è nata nel torto, con il supporto e l’approvazione da parte delle Nazioni che commettono più violazioni dei diritti umani al mondo, assegnata a una persona in conflitto di interessi, e incapace di nominare un esperto militare per un’indagine che riguarda azioni militari e le regole della guerra”, ha sottolineato il presidente dello European Jewish Congress Moshe Kantor. “Per questa e altre innumerevoli e chiare ragioni – ha continuato – il rapporto è innegabilmente di parte, indifendibile, e privo di ogni credibilità”. Concorde il direttore dell’American Jewish Committee David Harris, che ha evidenziato come “la vera occupazione di Gaza sia quella da parte di Hamas”.
“L’indagine sull’Operazione Margine Protettivo è solo l’ultimo esempio di una lunga serie di calunnie contro Israele da parte del Consiglio per i Diritti Umani della Nazioni Unite, che rafforza un già radicato pregiudizio ed erode ulteriormente la credibilità della reazione internazionale alle gravi violazioni dei diritti umani commesse in tutto il mondo”, il commento di Abraham H. Foxman, direttore della Anti-Defamation League, allineato con quello di molti altri enti.
Mentre sembrano non avere intenzione di prendere la parola direttamente nella discussione dell’Unhrc di lunedì, i diplomatici israeliani contano sull’appoggio di Stati Uniti e paesi europei per bocciare la relazione con il loro voto contrario o con l’astensione.
Francesca Matalon
(29 giugno 2015)