Senza dimora

zeviLa settimana scorsa mi hanno invitato a presentare due bei volumi: “Con il sole negli occhi” di Elfriede Gaeng (Carabba) e “Romanzi non scritti” di Michele Capitani (Dehoniane). Quando si parla di libri il rischio banalità è dietro l’angolo, tanto per chi parla quanto per chi ascolta. In questo caso, però, l’argomento era insolito: le opere parlano dei senza dimora, una galassia vasta di persone che è costretta – o in casi rarissimi sceglie – a vivere ai margini della società. Clochard, nomadi, disabili mentali, vittime del racket. Che dormono sulle sponde del fiume, tra i binari del treno, nei campi-nomadi (cosiddetti) e nella fermate della metro. Due libri da leggere.
Anche la platea era particolare, composta in parte dai protagonisti di questi libri. Gli autori hanno raccontato le loro esperienze – giornalistica, quella di Gaeng, militante, quella di Capitani – e spiegato le problematiche principali di queste persone che fingiamo di non vedere nella nostra vita di tutti i giorni. Le istituzioni latitano e la solidarietà assume spesso le sembianze di gruppi che lavorano con costanza e abnegazione. A un certo punto ho chiesto a Capitani cosa sia giusto fare di fronte a chi chiede l’elemosina ‘professionalmente’.
Ho raccontato un episodio che mi ha colpito. Alcune settimane fa ho scritto un post sulla mia pagina Facebook, sondando il parere di amici e lettori: ogni giorno incontro due uomini di mezza età, stranieri, sempre gli stessi, che fanno la questua al semaforo accanto a casa mia, evidentemente vittime di sfruttamento. Che cosa è giusto fare? Dare, e lavarsi la coscienza, oppure non darla vinta al racket? Personalmente mi attengo al principio ebraico di donare, mi metto la mano in tasca ed estraggo una moneta senza guardarla prima, senza calcolarne il valore. Ma è corretto oppure bisognerebbe denunciare? Dopo aver scritto queste righe comincio a ricevere una notevole quantità di commenti di segno opposto, segno che l’argomento, pur rimosso, alla fine è sentito.
Capitani mi ha dato una grande lezione. Mi ha fatto parlare e terminare la lunga domanda. Poi mi ha semplicemente chiesto: “Come si chiamano queste due persone”?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter: @tobiazevi

(7 luglio 2015)