Qui Trieste – Redazione Aperta
James Joyce fra gli ebrei triestini
Le suggestioni nate dal multiculturalismo, l’influenza della Comunità ebraica, i legami nascosti con la città: l’opera di James Joyce è imprescindibile da Trieste, così come lo è stata la sua più grande opera; il complesso quanto affascinante “Ulisse”. A discuterne con Pagine Ebraiche, durante Redazione Aperta, è Laura Pelaschiar, professoressa al dipartimento di Studi Umanistici presso l’Università degli Studi e tra gli animatori della Trieste Joyce School, la scuola estiva di studi joyciani giunta alla sua diciannovesima edizione.
“Solo da quindici anni circa, il mondo dei critici letterari si è reso contro dell’importanza di Trieste nell’opera di Joyce, riportata alla luce in special modo dagli studi di John Mc Court – spiega la professoressa – Lo scrittore di Dublino si trasferì in città a ventidue anni e rimase lì fino a trentotto anni, passò dunque a Trieste la fase centrale della sua vita nella quale compose e iniziò le sue opere più importanti”.
E, continua Pelaschiar,Trieste diede modo a Joyce di conoscere ed essere fortemente influenzato dalla comunità ebraica che poi ispirò il suo Leopold Bloom, protagonista dell’Ulisse straordinariamente simile a Italo Svevo, e Molly Bloom, entrambi di origine ebraica. L’ebraismo ma anche i greci ortodossi, gli diedero modo di sfuggire dall’ambiente monolitico e monoidentitario di Dublino, Trieste divenne per Joyce simbolo di multiculturalismo e apertura.
“Quando siamo di fronte all’Ulisse – prosegue la studiosa – ci incontriamo e scontriamo con un’opera estremamente complessa ma anche irresistibilmente comico. Il segreto sta tutto nell’avere una buona traduzione. Giulio de Angelis, suo primo traduttore fece un miracolo ma imposero lui di adottare un linguaggio aulico, assai lontano dalla versione originale. Poi seguirono altre traduzioni e molti errori. Attualmente la versione che stimo migliore è quella di Enrico Terrinoni per Newton Compton”.
Uno dei personaggi più affascinanti del romanzo è Molly Bloom, la moglie di Leopold a cui è affidato il monologo finale: “Molly – racconta Pelaschiar – era di origine ebraica e con una madre spagnola. La sua gioventù passata a Gibilterra viene rievocata attraverso il flusso di coscienza alla fine del libro e il ricordo del primo bacio viene sovrapposta al suo incontro con Leopold e le loro promesse di matrimonio. Lei, scrive Joyce, viene riconosciuta dal futuro marito per la sua ‘ebraicità'”.
“Vedendo uno schizzo di Joyce nella quale viene raffigurato Leopold Bloom – conclude la professoressa – salta all’occhio la somiglianza con Svevo. I rapporti tra i due scrittori non furono mai di amicizia, eppure avevano un legame fortissimo. Provenivano da due classi sociali completamente diversi, Joyce viveva in condizioni umilissime, ma riconoscevano l’uno il valore dell’altro”.
Rachel Silvera
(16 luglio 2015)