Emmy Awards
Piccolo schermo, è l’ora del “jewish pride”

trono di spadeSi indossa il vestito buono, ci si mette seduti accanto ai più stretti collaboratori e si attende il proprio destino. Gli Emmy Awards, i prestigiosi premi della televisione Usa, sono una cosa dannatamente seria. Persino più degli Oscar e dei festival indie, perché, come dimostra ogni buon sociologo dei nostri tempi, ne uccide più un telefilm del cinema. Sarà anche per questo che la nuova affettazione snobistica dei pesi massimi di Hollywood è quella di debuttare sul piccolo schermo come fosse un teatro off Broadway.
Annunciate ieri, le nomination degli Emmy non deludono i supporters dello jewish pride, facendo intendere che il Nokia Theatre, sede della premiazione, diventerà un piccolo shtetl alla moda il prossimo 20 settembre.
A partire dal presentatore: a fare gli onori di casa sarà infatti Andy Samberg, comico, attore e rapper giunto alla ribalta con la band dei Lonely Island. Con gli Island ha realizzato video musicali improbabili che facevano picchi di ascolti al Saturday Night Live e nei quali apparivano Lady Gaga, Justin Timberlake e persino la sofisticata Natalie Portman, in una inedita versione cafona. Nato in California da una famiglia ebraica, Samberg è il nipote di Alfred Marrow, ex presidente dell’American Jewish Congress.
Passando oltre e dando uno sguardo ai telefilm in gara: a fare da capofila, ritroviamo l’impareggiabile Game of Thrones, Trono di Spade, la serie fantasy ispirata alla saga di George R.R. Martin che strappa 24 nomination, confermando il suo successo globale. Una ennesima conferma per i suoi creatori David Benioff e D.B. Weiss.
Benioff, nato Friedman proviene da una famiglia ebraica di origine tedesca e russa e ha assunto un nuovo cognome per evitare confusioni perché troppo diffuso, mentre D.B. Weiss, giovane rampante ebreo di Chicago, oltre ad essere creatore, produttore e sceneggiatore della serie di culto, una dozzina di anni fa ha debuttato con un romanzo “Lucky wander boy” incentrato sul mondo dei video games.
Dopo sette anni ha invece chiuso i battenti Mad Men, il serial incentrato sui pubblicitari di Madison Avenue che ha fatto diventare tremendamente cool la New York degli anni ’60. Creato da Matthew Weiner, seguiva le orme del bellissimo, intelligentissimo e ubriachissimo Don Draper, spalmando riferimenti culturali ebraici come marmellata su pane friabile: dalla shivah al turismo israeliano, dall’emancipazione delle nuove generazioni alla tradizione yiddish. Tante le nomination accalappiate e la speranza di concludere l’onorata carriera con una manciata di statuette dorate.
Jeffrey Tambor, figlio di immigrati ebrei dell’Ucraina, è uno dei più virtuosi nominati per la migliore interpretazione comica con Transparent, l’audace telefilm che la racconta la vita di Maura Pfefferman, la transgender che fino a qualche anno prima rispondeva al nome di Morton. Già vincitore del Golden Globe Award come migliore serie comica, Transparent è stato definito uno dei prodotti televisivi più ebraici di sempre.
Ma non è finita qui: Mayim Blialik (che la generazione anni ’90 ricorderà come l’adolescente dal gusto discutibile Blossom) guadagna una nomination per la sua interpretazione della neuroscienziata Amy Farrah Fowler in Big Bang Theory e continua imperterrita a ribadire con forza la sua identità ebraica aggiornando il suo blog sul sito Kveller, mentre Liev Schreiber, visto ultimamente nella insolita veste di ebreo ultra-ortodosso in Gigolò per caso, viene nominato per la sua interpretazione nel crime drama Roy Donovan.
E ancora corre il ‘dolce’ rischio di ricevere un Emmy Maggie Gyllenhaal con la sua Nessa Stein che, nella mini-serie The Honourable Woman, cercava di risolvere il conflitto israelo-palestinese. Conclusione infine in bellezza, per il super quotato, Jon Stewart, cuore del Daily Show, che ha appena annunciato l’intenzione di ritirarsi in campagna e creare un rifugio per gli animali ma che non disdegnerebbe l’ultima statuetta, alla stregua dell’ultima sigaretta sveviana. Criticato spesso per le sue posizioni polemiche sulla politica israeliana, Stewart ha dichiarato: “Ho tanti motivi per odiarmi, essere ebreo però non è uno di questi. Sono 16 anni che mi guadagno da vivere criticando una certa America, questo non fa di me un anti-americano. Lo stesso vale per Israele”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(Nell’immagine una scena del telefilm Game of Thrones)

(17 luglio 2015)