…odio
Questa volta il terrorismo è tutto nostro. Un bambino palestinese arso vivo in casa sua mentre dorme e una ragazzina israeliana pugnalata a morte durante il Gay Pride. Siamo tutti sdegnati e disgustati, e tutti non esitiamo a dissociarci da questa specie estrema di follia. Ma già il termine ‘follia’ sembra giustificare le motivazioni degli atti. Non è follia, allora, è solo odio criminale, non diverso e non meno grave di quello che per secoli è stato riservato a noi ebrei.
Un odio criminale coltivato per decenni scientificamente, demagogicamente da chi aveva interesse a farlo. Ci siamo detti più volte che non dobbiamo diventare come ‘loro’, dove ‘loro’ sono gli antisemiti viscerali e assassini. Qualcuno di noi sembra aver scelto quella strada. Ma perché non ci siamo accorti che qualcuno la stava imboccando? Che certe posizioni non potevano che portare a questi esiti? L’omicidio Rabin non ha insegnato abbastanza; c’è chi sta ancora brindando. Certo, qualcuno aveva cercato di mettere in guardia dall’adesione a idee troppo semplicistiche e strumentalizzabili, ma era stato tacciato di antisemitismo, di odio di sé, perché dire che un tuo fratello sta sbagliando è considerato crimine e tradimento, e va denunciato sui muri della città.
Bisogna proteggersi l’un l’altro. Mafiosamente. Ma anche nella guerra si sa che non c’è solo il nemico comune, quello esterno, c’è anche il nemico interno, quello che nella sua corsa irrazionale e disumana all’autodistruzione vuol trascinare con sé tutti coloro che si trovano sulla sua strada. È ridicolo, in questi giorni, leggere tanti sottili distinguo: ‘quello non sono io!’, ‘quello era un pazzo!’, ‘quello era un ultraortodosso, e fanatico per giunta!’.
Perché esistono i religiosi tradizionalisti, gli ortodossi semplici, gli ultraortodossi moderati, gli ultraortodossi fanatici e chissà quante altre categorie fra cui distinguere; ed esistono i coloni buoni e poi i coloni cattivi, e forse anche quelli cattivissimi, assieme a quelli buonissimi.
Ci si fa paravento del linguaggio per i nostri sottili distinguo e si distoglie così lo sguardo, e l’attenzione, da ciò che muove tutta questa ‘follia’. Non si vuol vedere che dietro c’è una politica razionalissima e meditata. Meditata da tempo. Non bastano più le voci dei Grossman e degli Yehoshua e degli Oz a lanciare il grido d’allarme. E a cambiare direzione non basteranno, ormai, neppure la nuova consapevolezza di Netanyahu e quella del Presidente Rivlin, evidentemente antisemita anche lui, spinto all’autodistruzione da odio di sé e del proprio paese. Qualcuno ha già detto che bisogna far fuori anche lui, come Rabin. Deve restare in vita solo qualche rara bestia assassina. Bisogna soprattutto uccidere il pensiero, e la coscienza. Ci è sempre stato fatto credere che il pericolo sia solo fuori. Ora ci accorgiamo che non sono più solo Hamas o Teheran a far paura. C’è un pericolo maggiore che ci sta consumando dentro, che sta erodendo la nostra coscienza. Qualcuno è convinto, e l’ha affermato, che i nostri valori possono essere un prezioso contributo alla società in cui viviamo. Oggi questa convinzione mi sembra decisamente falsa, e di un’arroganza inaudita. E se non lo è, bene, dimostriamolo coi fatti.
Dario Calimani, anglista
(4 agosto 2015)