J-Ciak – X-Man va in Medio Oriente

Mandatory Credit: Photo by Matt Baron/BEI/REX Shutterstock (3615889nl) Bryan Singer 86th Annual Academy Awards Oscars, Vanity Fair Party, Los Angeles, America - 02 Mar 2014Visti gli ultimi sviluppi, mettere pace in Medio Oriente è un lavoro da supereroi. E chissà, forse X-Man è quello giusto. Non ci resta dunque che aspettare il prossimo autunno, quando arriverà nei cinema il documentario di Bryan Singer (qui nello scatto di Matt Baron) dedicato al conflitto tra israeliani e palestinesi. Sull’argomento i lavori, più o meno buoni, non si contano. Ma ciò che conta qui è il nome del regista e produttore, divenuto celebre con la serie di X-Men dopo uno strepitoso successo con “I soliti sospetti” (1995) per il quale Kevin Spacey vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista e Christophe Mc Quarrie quello per la migliore sceneggiatura originale.
Per ora intitolato “In the Middle of the Middle East”, il documentario – secondo quanto anticipato da Variety – racconterà scontri e tensioni nell’ottica di un attivista arabo-israeliano che, malgrado mille difficoltà anche personali, lavora per la pace in Medio Oriente.
È un punto di vista interessante, che potrebbe mettere in luce uno sguardo diverso sulla situazione portando allo scoperto l’identità sempre più conflittuale di chi, cittadino israeliano, mantiene un’identità araba (né potrebbe fare altrimenti, come tanti lavori dello scrittore Sayed Kashua ci hanno mostrato). Ma è un approccio singolare, se si considera che Singer si è finora mosso su un filone decisamente mainstream. La serie di X-Man, appunto, di cui l’ultimo “Apocalypse” è in arrivo a settembre 2016. E poi “Superman returns” (2006), “La vendetta di Halloween” (2007) o il fantasy “Il cacciatore di giganti” (2013).
A guardare meglio, la scelta diventa però meno stravagante di quel che sembra e s’iscrive a pieno diritto nella sua storia personale e professionale. Nato a New York, viene infatti adottato dall’attivista ambientale Grace Sinden e da Norbert Dave Singer, un uomo d’affari. Si trova così a vivere in una famiglia e in un contesto ebraici anche se, come riportato dal New York Times, la sua formazione viene marcata in modo profondo da due amici non ebrei, parte di un sedicente Nazi Club. Il gruppo, secondo quanto poi raccontato da Singer, è affascinato dalla seconda guerra mondiale più che dall’antisemitismo. Più che abbastanza, comunque, perché la madre Grace tronchi subito ogni legame tra suo figlio e il club e il giovane Brian si concentri sulla sua identità ebraica.
Anni dopo l’episodio troverà eco cinematografica in “L’allievo” (1995), adattamento di un racconto di Stephen King dedicato alla perversa fascinazione per il nazismo di un giovane. Il film vale a Brian Singer la definizione “giovane grande speranza ebraica di Hollywood” da parte di un enfatico giornalista. Una speranza che però non trova gran riscontri nell’altro film da lui dedicato al nazismo. “Operazione Valchiria” (2008), con Tom Cruise nei panni del colonnello Claus von Stauffenberg, uno degli ideatori del complotto per uccidere Hitler nell’agosto del 1944, è un film scontato che non aggiunge molto di nuovo a quanto già si sa di quegli anni.
Aspettiamo ora di vedere com’è il Medio Oriente secondo il papà dei supereroi. Dopo lo scandalo che l’ha travolto negli Stati Uniti – una brutta storia di abusi sessuali ai danni di ragazzini, che di recente è finita in nulla ma ha fatto molto parlare delle sue abitudini private – i riflettori sono ora puntati su lui. Come sarà il prossimo X-Man? E come sarà la pace in Israele?

Daniela Gross

(13 agosto 2015)