Primo Levi, di fronte e di profilo

ishot-1024 La risposta più determinata arriva da Manuela Consonni (docente all’Università Ebraica di Gerusalemme, dove ha appena assunto la guida del Centro studi sull’antisemitismo Vidal Sassoon, è autrice di L’eclisse dell’antifascismo. Resistenza, questione ebraica e cultura politica in Italia dal 1943 al 1989): “È evidente che l’autore vuole stabilirsi come il biografo in senso assoluto di Primo Levi. Penso che in effetti Marco Belpoliti sia unico, ha avuto il coraggio di rompersi i denti su Levi; credo non ci sia nulla di Levi che non abbia letto, tentato di analizzare e comprendere nel suo insieme”. Meno netta l’opinione di Anna Foa (autorevole storica italiana, recentemente autrice di Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ‘43): “Si tratta certamente di un libro molto importante che si pone come opera definitiva. Per ora. Belpoliti è diventato l’esegeta di Primo Levi, o perlomeno lui così si pone, ma questo enorme volume mi ha dato l’impressione di essere anche, in un certo senso, l’autobiografia di Belpoliti stesso. Come se Levi avesse condizionato la sua vita, e la sua storia”.
L’arrivo in queste ore in libreria dell’ingombrante e importante monografia che Marco Belpoliti dedica a Primo Levi, intitolata Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda editore) suscita grande interesse, ma anche alcuni interrogativi fra le voci che spesso si esprimono su Pagine Ebraiche, il giornale dell’ebraismo italiano. Tra le loro prime impressioni, raccolte a caldo, l’aspetto autobiografico del libro torna nelle parole di Alberto Cavaglion (Università di Firenze, fra i massimi esperti di Levi e curatore fra l’altro dell’edizione commentata di Se questo è un uomo), che nota come il volume sia un tentativo di risistemare e organizzare quanto scritto in anni di ricerche: “Pare una specie di bilancio, in cui Belpoliti ha rielaborato tutto quello che ha scritto in quasi trent’anni, e lo dichiara lui stesso nell’introduzione. Ma mi ha un po’ rattristato verificare come si tratti alla fine di un esercizio impietoso, che evidenzia una grande trasformazione: i suoi primi contributi sono stati veramente importanti. All’inizio delle sue ricerche toccava problemi molto profondi, ha avuto intuizioni notevoli, mentre ora è diventato più minimalista, quasi leggero, e io preferivo il primo Belpoliti”. Cavaglion, che conosce bene sia l’autore del libro che tutti i suoi scritti, ritiene che Primo Levi di fronte e di profilo non sia un’opera definitiva. “Non esisterà mai, non può esistere. Questo volume è ‘il Belpoliti su Levi’, è definitivo in questo senso. È forse anche un suo modo per chiudere il discorso, per fare i conti con il suo rapporto con Levi, in un senso quasi autobiografico. Ma non è una pietra miliare”.
La sensazione di un certo fare i conti è espressa anche dallo storico Claudio Vercelli (autore fra l’altro di Il negazionismo. Storia di una menzogna), il cui primo dubbio è se un volume “così enciclopedico da rasentare l’elefantiasi” – sono 736 pagine – abbia una spendibilità editoriale. “La qualità è indiscutibile, il libro è una sorta di vademecum che ripercorre tutta la vita di Levi attraverso le sue opere, e viceversa. Ma mi pare si tratti soprattutto di un testo che è anche una resa dei conti generazionale, una verifica sulle mutevoli percezioni del lavoro di Levi. Belpoliti vuole porre in rilievo l’elemento letterario, il valore dello scrittore, in quello che è anche una sorta di omaggio postumo a una persona che come tale sempre si è posta. È evidente quanto Belpoliti si rispecchi nel Levi letterato”. E sono molte le domande che pone Vercelli, che chiede “A chi compete di più, poi, Levi?” Ai letterati, appunto, oppure agli storici, o alle arti figurative, oppure alle scienze esatte? “Belpoliti adotta per Levi un paradigma letterario che è eminentemente chimico, con una continua composizione e scomposizione molecolare. Dubito che si tratti dell’opera definitiva, anche se l’autore chiaramente vi aspira, ma Levi ha rilevanza e impatto diversi nelle diverse stagioni.” Continua spiegando che è forse presto per affermarlo con certezza ma siamo probabilmente giunti a una svolta in quella stagione culturale che comprende la Shoah nel suo tessuto costitutivo. In questo senso, anche, il recupero di Levi come scrittore ha il senso di una sensibilità trasposta in altri discorsi: nell’epoca in cui la testimonianza si esaurisce si procede sempre più verso un orizzonte in cui la Memoria diventa un oggetto da immaginare, in cui subentra una distanza che impone una elaborazione, anche narrativa. “In questo senso va ricordato che Levi è per definizione un oggetto che viene rigenerato nel corso del tempo, per cui quella di Belpoliti è un’operazione più che legittima, così come legittima è la pretesa, evidente nel testo, che si tratti di un’opera importante. È peraltro frequente, in questo tipo di registri così ampi, che il biografo parli di se stesso attraverso il biografato”.
Su registro e struttura del libro si sofferma Cavaglion: “Si tratta di una specie di enciclopedia con lemmi e parole chiave, in cui Belpoliti ha utilizzato una struttura che è una sua virtù da sempre. Del resto già in una collana che dirigeva per la Bruno Mondadori, la Biblioteca degli scrittori, aveva curato un Levi così”. E l’archivio storico del Corriere della Sera restituisce un articolo del 1998 di Corrado Stajano che spiega: “Che cosa ha di nuovo la ‘Biblioteca degli scrittori’? Una struttura razionale, con una divisione in sezioni di utile consultazione e una trovata che rappresenta un efficace strumento per il lettore sia che conosca sia che non conosca lo scrittore protagonista del libro. Quello che purtroppo viene definito nell’avvertenza del volume una sorta di ipertesto cartaceo inizia con una breve biografia bene documentata. Nelle pagine di questa biografia, quella di Primo Levi, per esempio, certe parole sono scritte in neretto: antisemitismo, chimica, zona grigia, oltre ai titoli dei libri di Primo Levi, da Se questo è un uomo alla Tregua a I sommersi e i salvati alle altre opere. La seconda parte, la più nutrita, è un vero e proprio dizionario dove il lettore trova facilmente quelle voci indicate in neretto, coi diversi temi analizzati con cura. La terza parte è una bibliografia ragionata con le opere dell’autore, una scelta dei libri, dei saggi e degli articoli scritti su di lui e l’elenco delle opere citate nel testo. Libri utili, insomma, non solo per gli studenti, ma anche per chi sa e per chi non sa.” Si tratta di una descrizione che, a parte per le scelte grafiche differenti e una maggiore dimensione e articolazione del lavoro, spiega anche come sono organizzate le pagine del volume di Guanda.
Aggiunge Claudio Vercelli: “Le enciclopedie che funzionano bene sono quelle aperte, e anche se sono sicuro che l’idea a Belpoliti non piacerebbe, il suo lavoro propende all’ipertesto, quasi una metawikipedia”. È Cavaglion a confermare l’importanza e l’utilità del volume soprattutto per studenti e insegnanti, come lo stesso autore scrive nell’introduzione: “Ho infatti pensato non solo a un lettore da poltrona o divano, che legge di seguito le pagine, comodamente seduto, ma a chi insegna o studia le opere di Levi; questi lettori potranno trovare le informazioni che servono consultando il sommario e l’indice dei nomi e delle opere.” E non solo, perché il volume comprende insieme alle dieci fotografie che vogliono raccontare per immagini alcuni aspetti della personalità umana e intellettuale di Levi, la storia dei libri e di come sono stati scritti, numerosi lemmi – scritti a volte come voci di enciclopedia e a volte invece come brevi saggi – alcuni studi veri e propri dedicati a specifici aspetti dell’opera di Levi, una bibliografia divisa in sezioni con indicazioni su cosa leggere utili per chi vuole proseguire lo studio di Levi, una bibliografia vera e propria dei testi di Levi, intesa come strumento d’orientamento, la bibliografia dei testi critici citati nel volume e gli indici, sia delle opere di Levi che dei nomi citati nel volume.
È Anna Foa a sottolineare la grande importanza che potrebbe avere il grande lavoro di Belpoliti per la percezione di Levi diffusa in Italia: “So bene che già i suoi primi lavori avevano il grande pregio di sottolineare il valore letterario di Levi, ma in Italia si parla tutt’ora di lui prevalentemente come testimone. In America, ma anche nel resto d’Europa e in Israele il suo valore in quanto scrittore è riconosciuto da tempo, è considerato uno dei grandissimi del Novecento. Se questo lavoro riuscirà a influenzare la percezione e l’immagine di Levi sarà un grande risultato.” Continua Anna Foa: “Personalmente non sono così convinta che sia giusto fare un’analisi così esclusivamente centrata sull’aspetto letterario. Ho trovato molto bello il registro di scrittura, col suo tono letterario, romanziero, interessantissima la struttura e belle le pagine su Corso Re Umberto, anche se forse avrebbe potuto riempirle di personaggi. Dei vuoti ci sono: ho avuto la sensazione che proprio la parte su Torino, sulla Torino ebraica e antifascista, intendo, sia molto poco approfondita. Lo capirei in un volume di duecento pagine, forse, ma in oltre settecento mi pare una mancanza importante. Belpoliti ha su quell’aspetto uno sguardo esterno, come se si trattasse di qualcosa che non conosce. Potrebbe essere una scelta consapevole, per concentrarsi solo sul Levi scrittore, ma davvero manca nel libro tutto il background torinese.” Molto simili le parole di Manuela Consonni: “Il libro, sin dal titolo, porta a pensare che Belpoliti voglia occuparsi di tutti gli aspetti di Levi, e di stabilire la sua autorità in materia, quasi cercasse di ‘impossessarsi’ di Levi. Ma questo è normale, lo fanno tutti. Io ero incuriosita dalla parte su Torino, ma ho avuto l’impressione netta che non abbia colto per nulla l’ambiente ebraico della città. Che è strano, anche perché negli anni ha sviluppato una tale immedesimazione in Levi che è quasi come se fosse lui. In un certo senso è come se parlasse da dentro Levi. Belpoliti in realtà con questo libro ha scritto la sua autobiografia intellettuale.”

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(27 agosto 2015)

Il disegno è di Giorgio Albertini