Qui Ferrara – Kabalah, la lezione italiana

caro idel campaniniFerrara torna ad essere il centro ebraico di riferimento per gli studi della kabalah: il convegno “L’eredità di Salomone. La magia ebraica in Italia e nel Mediterraneo” organizzato dal Meis, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, in collaborazione con il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna e con l’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (Aisg), curato da Mauro Perani e Saverio Campanini, docenti dell’Alma Mater, insieme a Emma Abate dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi è stato aperto nel pomeriggio di lunedì dall’intervento di Moshe Idel, studioso dell’Università Ebraica e dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, che ha riportato l’attenzione dei presenti sulla centralità dell’Italia e di cui riproponiamo l’intervista rilasciata a Pagine Ebraiche. Universalmente riconosciuto come il più grande esperto vivente di mistica ebraica, introdotto dal professor Campanini e dall’intervento del rabbino capo di Ferrara Luciano Caro, Idel ha ripercorso in una affascinante lezione la storia e gli sviluppi della disciplina. Una storia plurimillenaria che quando viene scomposta nelle sue tre fasi mostra chiaramente la rilevanza avuta dall’Italia sia nel corso delle transizioni che hanno portato luoghi diversi ad essere il centro di riferimento per gli studiosi nel corso dei secoli, sia nell’evoluzione delle differenti correnti interpretative. Le discussioni fra italiani e spagnoli, la visione più individualista di alcuni gruppi di studiosi, contrapposta alle analisi di altri, le lotte fra partigiani dell’una o dell’altra interpretazione hanno portato addirittura alla creazione di un elenco di testi consigliati contrapposto a un elenco di volumi che invece non era il caso di leggere, ma che erano invece il cuore degli studi in Italia, tutto ha mostrato come il ruolo italiano sia stato importantissimo. Tanto che alla domanda posta alla fine da rav Caro, che chiedeva al professor Idel come mai dopo tanti personaggi così rilevanti non ci sia stata negli ultimi ottanta anni in Italia una scuola di studiosi di kabalah, la sorridente risposta è stata che già il fatto che il numero dei presenti fosse così alto portava a pensare a un interesse reale per l’argomento, meglio aspettare un paio di decenni prima di valutare, qualcosa potrebbe essere in movimento.
I lavori prevedono nella prima sessione coordinata da Ida Zatelli, dopo la presentazione di Saverio Campanini ed Emma Abate, l’intervento del rabbino capo di Ferrara su “Regole e silenzi della Torah sulla magia”, seguito da Corrado Martone (Università di Torino), con “La magia nei rotoli del Mar Morto e nella letteratura giudaica del Secondo Tempio” e Mauro Perani (Università di Bologna) su “Il Sefer ha-Tagin (sec. VIII) e l’uso magico del Sefer Torah”. La seconda sessione, moderata da Cristiana Facchini, prevede l’intervento di Alessia Bellusci (Università di Tel Aviv) su “Un manuale moderno di magia in ebraico ed italiano dalla Collezione di Lisa e William Gross” e Fabrizio Lelli (Università del Salento) con “Mosè mago nel Rinascimento tra tradizione ebraica e cristiana”.
È uno dei curatori del convegno, Saverio Campanini, a coordinare la sessione aperta da Moshe Idel su “Il Sefer Raziel ha-Malak”, seguito da Emma Abate, l’altra curatrice, con una relazione intitolata “Raziel a Roma: le copie di Egidio da Viterbo”. Dopo il dibattito i relatori si trasferiranno a Ravenna, dove si svolgerà l’assemblea ordinaria annuale dell’Aisg, cui seguiranno due ulteriori sessioni. La prima, in mattinata, coordinata dal professor Perani, vedrà impegnati Giuseppe Veltri (Università di Amburgo) su “Scetticismo e magia nel periodo rabbinico: il principio della probabilità empirica”, Mauro Zonta (Università La Sapienza di Roma) con “Maimonide: la sua idea e quella dei suoi interpreti a proposito della magia” e Marina Caffiero (Università La Sapienza di Roma) su “Le inquietudini di un rabbino. Tranquillo Vita Corcos tra magia e qabbalah”. Dopo pranzo coordinatore sarà Pier Cesare Ioly Zorattini, in una sessione con Roni Weinstein (Università ebraica di Gerusalemme) sul tema “Magic in Jewish Italian Communities: Some longue-durée perspectives”, Bill Rebiger (Università di Amburgo) con “The editio princeps of Sefer Shimmush Tehillim, Sabbioneta 1551” e Saverio Campanini (Università di Bologna) che interverrà su “‘Consulto, forsitan, atque prudenter’. La magia ebraica nella lettera di Jacques Gaffarel a Leone Modena”. Le conclusioni del convegno, dopo l’ultimo dibattito, saranno lasciate al professor Moshe Idel.

a.t. twitter @atrevesmoked

(1 settembre 2015)

Moshe Idel: “La cosa importante è capire”

Sapere con un solo giorno di anticipo di poter incontrare Moshe Idel e di avere la possibilità di intervistarlo. Cercare di documentarsi, avendo pochissimo tempo a disposizione ed essendo consapevoli di avere a che fare con un grande personaggio, non semplice, che oltre alla cultura immensa è dotato di uno spirito sagace e a volte caustico. Iniziare a fare qualche ricerca e scoprire di trovarsi davanti ad un vero oceano, fatto di articoli, saggi, testi e lezioni su argomenti che definire complessi e a volte controversi è poco. L’unica scelta possibile è allora cercare di non farsi prendere dal panico (cosa non semplice, per la verità) e iniziare dalle cose più semplici, quasi scontate, per provare ad orientarsi e per alimentare la speranza di riuscire a cogliere almeno un poco lo spirito con cui lo studioso – considerato il più grande esperto al mondo di mistica ebraica – affronta un mondo così particolare, e con cui ha rivoluzionato il modo di guardare tradizioni prima considerate intoccabili.
Quando si parla di mistica ebraica il pensiero corre subito alla kabalah, e da lì il passaggio a Madonna e alla moda hollywoodiana è breve. Moda che per altro non scandalizza Moshe Idel, che vi accenna con l’ironia leggera che solo chi ha dedicato all’argomento una vita di studi si può premettere. La materia però è talmente complessa che il rischio di cortocircuiti anche spiacevoli è sempre in agguato: si passa con leggerezza dalla kabalah alla mistica, alle scienze esoteriche, fino ad arrivare alla magia e alla stregoneria, argomenti che proprio Gli ebrei di Saturno, l’ultimo libro di Moshe Idel tradotto in italiano e in uscita in questi giorni per Giuntina, affronta con la solita profondità.
Nonostante nel mondo si diffonda principalmente come forma mistica deformata attraverso una lente new age, si possono trovare legami assolutamente imprevedibili fra questa prassi religiosa che viene da tempi lontani e lo studio dell’inconscio affrontato con le tecniche proprie della psicoanalisi.
In ebraico moderno la parola kabalah deriva dal verbo leqabbel, ricevere. Non è questa una ragione sufficiente per trattarla come una tradizione intoccabile, come vorrebbe una traduzione letterale del termine. Idel spiega infatti che 
“La kabalah è senza dubbio una Tradizione, come tale ci viene tramandata e dunque va studiata col dovuto rigore. Cosa che non ci esime dal reinterpretarla depurandola dagli errori di chi ci ha preceduti”.


Cos’è la kabalah e che insegnamento possiamo trarne, in questo momento storico?
Kabalah è in realtà un termine generico, che viene usato per indicare una varietà di scuole esoteriche emerse in Europa, alla fine del XII secolo, che si sono sviluppate diventando una delle principali interpretazioni del giudaismo. Uno studio serio della kabalah può arricchire la comprensione del quadro complesso di una cultura, come si è sviluppata in Europa, nonché facilitare una migliore conoscenza della capacità creativa di una minoranza, che potrebbe arricchire la cultura della maggioranza.

Come si inserisce la kabalah all’interno della letteratura mistica ebraica?

Il misticismo ebraico compare già nelle letterature della tarda antichità, secoli prima della nascita della kabalah. Ci sono anche altre forme di misticismo ebraico che non fanno parte della kabalah, per esempio la letteratura Hasidei Ashkenazi, e ci sono stati gruppi di ebrei influenzati dal misticismo Sufi, soprattutto in Egitto e in Siria nel XIII e XIV secolo. La kabalah ha portato ad una varietà di approcci spirituali ai rituali ebraici, e ha creato nuove forme di teologia che hanno permesso l’interazione tra gli ebrei e Dio.

La kabalah estatica, quella che più affascina chi vi si avvicina, forse con qualche ingenuità, quanto era veramente diffusa?
Non è una risposta semplice, bisogna ovviamente fare delle distinzioni a seconda della regione e del periodo di cui si parla. Per quanto riguarda l’Italia, dal XIII secolo al Rinascimento, fu senz’altro la più studiata e praticata. Nel mondo dei kabalisti gli insegnamenti di Abulafia furono i più seguiti. Abulafia scrisse moltissimo, e i suoi manoscritti mostravano una via per raggiungere un’esperienza profetica, erano in qualche modo delle tecniche personalizzate per i molti allievi che ebbe.

La prossima domanda a questo punto è scontata: lei che è uno studioso di kabalah, ha avuto la tentazione dell’esperienza mistica?
No, me lo hanno chiesto in tanti ma io sono solo uno studioso. Gershom Scholem da giovane – ne parla lui stesso nella sua autobiografia – ha usato alcune delle tecniche che studiava, proprio per avvicinarsi più profondamente alla kabalah. Non è che poi sia arrivato ad elevarla a sistema di pensiero ebraico, da porre in contrapposizione ai sistemi filosofici organici proposti da Kant e da Hegel. Non mi ritrovo in questa sua scelta: per me la kabalah identifica, anzi è, una maniera di vivere. Ritengo che il ritmo della vita sia ben più significativo delle idee, non è affatto necessario andare a cercare delle contrapposizioni filosofiche.

Con il suo lavoro e specialmente con il libro Kabbalah: New Perspectives, lei ha scosso il mondo accademico. Ne è nata una accesissima controversia e lei è addirittura stato accusato di aver tradito proprio Gershom Sholem. È vero?
Forse può sembrare ironico ma proprio le mie idee, che vennero allora bollate come eretiche, hanno portato la ricerca ad avvicinarsi alla concezione più tradizionalmente ebraica della kabalah. E devo a questo punto raccontare che quando incontrai per la prima volta Sholem io ero giovanissimo. Gli esposi alcune mie osservazioni su suoi testi di epoche diverse che a me parevano essere in contraddizione fra loro. Lui fu molto secco ma si fece lasciare i miei appunti e qualche giorno dopo ricevetti una dettagliatissima risposta. Concludeva la sua lettera con una frase che non ho mai dimenticato, un insegnamento che cerco tuttora di seguire. Mi scrisse: “Benedetto colui che ti aiuta a correggere i tuoi errori invece di scagliarteli contro”.

Lei si definisce studioso, dice di non essere un mistico e non è un filosofo. Perché e come, allora, entrare nella sfera dell’irrazionale?

Definirsi razionali o irrazionali per me non ha senso. Così come non è giusto cercare delle verità nei sistemi filosofici: tutto quello che pensiamo rientra nella sfera dell’immaginario. E poi nel mondo ebraico la soggettività non è prevalente: si insegna cosa fare per essere un buon ebreo e non ha importanza se nel procedere religioso ci si sente felici o tristi. Parallelamente i kabalisti estatici insegnano una tecnica e non si sorprendono quando funziona. Lo sanno che deve funzionare, per l’ebraismo non è così strano pensare di poter entrare in contatto con Dio. L’importante è il rapporto che ci può essere tra la struttura del divino e le mitzvot che dobbiamo compiere. Sapere senza fare, senza mettere in pratica è una cosa assolutamente priva di significato.

La passione attuale per la kabalah è collegata alla maniera in cui la mistica ebraica ha anticipato lo studio psicanalitico dell’animo umano. È d’accordo?

È stata pubblicata alla fine degli anni cinquanta una ricerca che voleva dimostrare come Sigmund Freud sia stato influenzato dal pensiero dei kabalisti. Io non credo sia vero, penso sia un’esagerazione ma è invece certo che a Vienna in quel periodo i rabbini contavano, e molto. Non bisogna dimenticare che la cultura ebraica di Freud era molto più vasta di quel che normalmente si pensa. Non mi stupirei se fosse stato influenzato dal hassidismo, mentre non credo conoscesse davvero la kabalah.

Possiamo trovare degli elementi moderni della kabalah?
Un certo mondo intellettuale ne è attratto, pensiamo per esempio a Umberto Eco, Jacques Derrida o Harold Bloom. Nella kabalah il linguaggio coincide con la realtà, e questo è un concetto che sta diventando sempre più ovvio per tutti noi. Poi capita che certi mistici diventino integralisti perché si convincono di essere in possesso di verità assolute e nei momenti di cambiamento una convinzione forte diventa fondamentalismo. Ma il misticismo non è sovrapponibile all’integralismo.

Non è un paradosso, questo?
I paradossi ci sono solo se affronto la realtà con i miei valori, non esistono paradossi interni alla realtà. La cosa importante è capire e capire non è giudicare. Giudicare a me non interessa. Chi giudica non capisce. La realtà è complessa e nella realtà hanno spazio molte cose. L’unica cosa davvero importante è capire questo.

Ada Treves, Pagine Ebraiche settembre 2012

(1 settembre 2015)