Ticketless – Contro il minimalismo ombelicale

cavaglion Da non perdere l’intervista di Paolo Di Stefano al decano dei nostri italianisti (La lettura, 23 agosto scorso). Pier Vincenzo Mengaldo, da sempre un’anima libera, sgombra di pregiudizi (ricordiamo il suo saggio su memorialistica, deportazione e letteratura, Bollati Boringhieri), pungolato dal suo interlocutore, non fa sconti a nessuno, soprattutto ai critici dell’ultima generazione. Minimalisti, dice, bravi soltanto a guardarsi l’ombelico. Per amor di patria nessun nome, ma chi conosce il piccolo mondo della critica letteraria capisce di quali ombelichi si favelli. Già in altre sedi, questa volta con maggiore energia, Mengaldo dice di riuscire a leggere soltanto gialli o narrativa israeliana: “La narrativa migliore nasce in Paesi in cui la società e la politica pongano seri problemi nazionali, per esempio contrasti etnici, religiosi, politici. Paesi in cui le lacerazioni sono profonde, come Israele. Alla letteratura non fa bene un tipo di società omogeneizzata, come sono quella italiana o quella francese”. Botte da orbi contro Houellebecq e Modiano, per l’Italia il bersaglio è Saviano. Mengaldo pensa evidentemente con nostalgia all’Italia appena riunificata, o in procinto di esserlo. Leopardi, Manzoni e, per lui fondamentale, Nievo, raccontavano un’Italia israeliana ante litteram, carica di problemi e lacerazioni (nord e sud, laici e cattolici, conservatori e moderati). Uno potrebbe obiettare. Lacerazioni non mancano nemmeno nell’Italia odierna. Mengaldo lascia intendere che siano il solito minimalismo ombelicale. Difficile dargli torto.

Alberto Cavaglion

(2 settembre 2015)