J-Ciak – L’ultimo giorno di Rabin
Un anno fa incantava il pubblico con le atmosfere rétro di “Tsili”, girato in yiddish e ispirato all’omonimo romanzo di Aharon Appelfeld. Quest’anno Amos Gitai torna alla Mostra del cinema di Venezia, questa volta in concorso, con un lavoro molto diverso. Il nuovo film, “Rabin, the Last Day”, è di stretta attualità, profondamente politico, girato “da cittadino più che da regista” e basato su una documentazione stringente.
L’ultimo lavoro di Gitai ripercorre l’ultima giornata di Yitzhak Rabin e il suo assassinio, vent’anni fa, al termine di un grande comizio politico, per mano di Yigal Amir. Soprattutto, ricostruisce il clima isterico e saturo d’odio che portò a quella morte, senza esitare a chiamare in causa la commissione Shamgar che indagò sull’omicidio né i rabbini o i politici che condannarono il primo ministro.
“Rabin, the Last Day”, che sarà proiettato lunedì e una settimana dopo sarà al Toronto Film Festival, porta sul grande schermo il lato più oscuro della società israeliana. Gitai ripercorre le indagini sull’omicidio di Rabin, le udienze e le testimonianze, in particolare quella di Yigal Amir (sulla cui vicenda si è concentrato “Beyond the Fear” di Herz Frank e Maria Kravchenko che ha scatenato un putiferio all’ultimo Jerusalem Film Festival, con tanto di mobilitazione minacciosa del ministro alla Cultura Miri Regev).
Intrecciando alla fiction documenti, interviste e filmati d’epoca, riporta in vita l’atmosfera di quel periodo in un film che, dice il regista, vuole essere “la commissione d’inchiesta che non c’è mai stata”. La commissione Shamgar, ha spiegato, fu incaricata di indagare sugli errori operativi che determinarono la morte del primo ministro ma non prese in considerazione il contesto che innescò quella tragedia.
Il film vuole invece riportarci lì, all’odio e al disprezzo scagliati contro Rabin nelle manifestazioni dopo Oslo, quando la folla si scatena urlandogli contro “traditore”, “nazista” “figlio di puttana”. Ci riporta alle minacce di morte, alle richieste di vendetta, alle sue foto bruciate in piazza, alle candele accese in sua memoria ben prima della sua morte, alla condanna dei rabbini estremisti, alle feroci dichiarazioni di politici ed esponenti pubblici.
“Se aveste fatto pulizia dopo l’assassinio forse oggi tutto sembrerebbe diverso”, ha detto Gitai in una conversazione con Meir Shamgar, che in veste di presidente della Corte suprema aveva presieduto la commissione d’inchiesta (l’Archivio di Stato ha consentito al regista di accedere alle trascrizioni complete di quei lavori).
La realtà, sostiene il regista in un’intervista ad Haaretz, è che ancora oggi l’unica alternativa politica è Rabin con “la sua semplicità, il suo modo di essere diretto, la sua capacità di offrire una tesi politica alternativa”. In Israele, dice, si è ancora “nel contesto scaturito dalla scomparsa di Rabin e della sua posizione dalla mappa politica”. Una situazione esplosiva nella quale, dice, “si è alla ricerca di una figura moderata”, capace di porre “l’accento sui diritti civili e sulla saggezza politica anziché sull’arroganza”. Ogni riferimento a persone reali è voluto. In attesa del film, basta un passaggio su youtube per vedere Benjamin Netanyahu presiedere una violenta manifestazione contro Rabin dall’alto di un balcone pavesato dalla scritta “morte”.
Daniela Gross
(3 settembre 2015)