La rassegna settimanale di melamed
“Un bimbo, un maestro e un libro
possono cambiare il mondo”
Melamed è una sezione specifica della rassegna stampa del portale dell’ebraismo italiano che da più di tre anni è dedicata a questioni relative a educazione e insegnamento. Ogni settimana una selezione della rassegna viene inviata a docenti, ai leader ebraici e a molti altri che hanno responsabilità sul fronte dell’educazione e della scuola. Da alcune settimane la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane aggiunge al lavoro di riordino e selezione settimanale un commento, per fare il punto delle questioni più trattate sui giornali italiani ed esteri. Per visualizzare la newsletter settimanale di melamed cliccare qui.
Scuola al via: “Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo”
Torna a criticare quello che definisce conservatorismo dei docenti che “Temono la valutazione dei test”, Roger Abravanel, saggista e osservatore spesso critico del sistema scolastico italiano che spiega: “I 7.000 ex precari francamente non fanno la differenza: se la loro passione è insegnare, cambiare città è nell’ordine delle cose”. E, aggiunge “Nella scuola si è tentato lo scambio tra la riduzione del precariato e la responsabilizzazione dei presidi, con l’obiettivo di dare un servizio migliore ai clienti della scuola, ai ragazzi”. Agli insegnanti che si oppongono alla valutazione del proprio lavoro Abravanel, sostenitore convinto dei test Invalsi e Pisa, risponde: “I test si fanno in tutto il mondo e hanno un vantaggio: ci liberano dall’autovalutazione. La quale può andare bene in Finlandia dove le scuole sono tutte buone ma non in un posto come l’Italia, con forti differenze tra un istituto e l’altro, dove insegnanti mediocri e presidi mediocri dovrebbero valutare la scuola dove lavorano. Addirittura ci sono insegnanti che suggeriscono agli studenti le risposte dei test Invalsi pur di non sottoporsi a una valutazione. Le famiglie per fortuna si stanno aprendo. In Italia e in Grecia ancora non si può, ma nel resto d’Europa un genitore ha il diritto di sapere qual è il punteggio medio ottenuto nei test da una determinata scuola. In attesa delle riforme che verranno, tocca a ciascuno di noi attivarsi per iscrivere i nostri figli nelle scuole migliori. E questo aiuterà anche le scuole a migliorarsi”. (Il Mattino, 3 settembre)
Tecnici o umanisti? Continua intanto, sul Corriere del Veneto (1 settembre) la polemica sulle “Facoltà inutili” dopo che Stefano Feltri, vicedirettore del Fatto Quotidiano, ha ammonito i giovani italiani: “Non iscrivetevi alle facoltà umanistiche, perché non troverete lavoro!” È lo stesso Abravanel a rispondere, dalla manifestazione “Una montagna di libri”, a Cortina, spiegando che “Più importante di cosa studi è come studi”. Ed è Lorenzo Toma, autore dell’articolo, a elencare “Tutte le banalità sulle facoltà inutili”.
Minigonne no, bermuda sì. Il Corriere della Sera dedica il 30 agosto ampio spazio al “Codice estetico secondo i presidi”: scrive Orsola Riva che “Fra pochi giorni riaprono le scuole. L’estate è ancora sfolgorante, puntuale riparte il braccio di ferro fra genitori e figli: ‘Guarda che non sei più al mare, non puoi presentarti in classe con gli shorts e le infradito’. L’Italia è uno dei pochi Paesi a non avere delle disposizioni nazionali sul dress code, su come bisogna vestirsi a scuola: perfino la laica e libertaria Francia ce l’ha.”
Fioriscono così a inizio anno le circolari, più o meno dettagliate, a volte spiritose, a volte involontariamente comiche o bacchettone che invitano gli studenti a vestirsi in modo consono.
In generale però il dress code resta un’eccezione. “Le divise in Italia si sono messe solo durante il Fascismo. La nostra è da sempre una scuola di libertà. Libertà nel rispetto degli altri — puntualizza un preside —. Niente regolamenti, niente imposizioni. Ma se incrocio un ragazzo con i pantaloni corti, provo a parlargli: andresti vestito così a un appuntamento di lavoro?” Ed è, sempre sul Corriere, lo stesso giorno il vice presidente dell’Associazaione presidi Mario Rusconi che in un’intervista spiega: “Io non credo nelle circolari repressive. Penso però che si debba spiegare ai ragazzi che devono vestirsi in modo adeguato. Altrimenti rischiano di perdere punti quando poi andranno a sostenere un esame all’università o a un colloquio di lavoro. Quello che vale per gli studenti, vale a maggior ragione per i presidi. Ma – aggiunge – resto dell’idea che su queste cose ci voglia anche un po’ di ironia”
Vietato studiare. Almeno 116 studentesse e insegnati sono finite in ospedale ad Herat City, nell’Afghanistan occidentale. Inseguite e attaccate semplicemente per il loro essere studentesse, pugno nell’occhio di una visione, quella dei taleban, che vorrebbe imprigionare le donne nella clausura sociale e familiare. L’attacco di ieri è solo l’ultimo anello di una catena interminabile, in uno stillicidio di violenze e di intimidazioni.
E MalalaYousafzai,18 anni e già Nobel per la Pace, nonostante sia sotto scorta 24 ore su 24 continua a lottare: “Se continuiamo a tenere sottomessa metà della popolazione mondiale e ad impedirle di andare avanti, come pretendiamo di poter raggiungere un vero sviluppo?” A dispetto delle ennesime minacce la giovane pachistana ferita dagli estremisti nel 2012 per aver sfidato il divieto ad andare a scuola non è disposta ad arretrare e quest’estate ha conseguito la maturità al liceo Edgbaston di Birmingham con il massimo dei voti: un risultato che le spiana la strada verso i collage più prestigiosi della Gran Bretagna, dove attualmente risiede, e che ha scatenato una nuova raffica di intimidazioni, virtuali e non solo. I principi restano saldi, ed è sempre convinta che, come quando commosse il mondo da Palazzo di Vetro “Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo”. (Avvenire, 1 settembre)
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(4 settembre 2015)