Qui Roma – Al Festival con Daniel Libeskind
“Architetti, artefici del futuro”
“Questo è uno degli appuntamenti più importanti del nostro calendario. E ha grande valore il tema scelto, Around the future, attraverso il quale si darà spazio al progresso e alle nuove generazioni”. Così la presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello ha accolto l’ottava edizione del Festival Internazionale di Letteratura e Cultura Ebraica che si è aperta ieri sera con la consueta Notte della Cabbalà e con ospite d’onore l’archistar Daniel Libeskind. La manifestazione, promossa da Comune di Roma, Comunità ebraica, ambasciata d’Israele, Regione Lazio e Camera di Commercio, andrà avanti fino a mercoledì 9 settembre.
“L’ebraismo ha guardato sempre con una certa cautela al futuro – aggiunge l’editore Shulim Vogelmann, organizzatore della kermesse assieme a Raffaella Spizzichino, Ariela Piattelli e Marco Panella – non è infatti permesso ricorrere a indovini o simili. Quando Giona predisse la distruzione di Ninive a causa del cattivo comportamento dei suoi abitanti, essi cambiarono atteggiamento e la città fu mantenuta intatta. Il futuro per l’ebraismo infatti non è già scritto, può cambiare a seconda degli uomini e delle loro scelte. È nelle nostre mani. La lettera con cui il Signore ha creato il mondo è la bet ed è disegnata in modo da avere una sola apertura che indica la direzione in avanti. Andare avanti e guardare al futuro è l’unica soluzione”.
Ospite della prima serata, l’architetto Daniel Libeskind che vanta tra i suoi progetti il Museo ebraico di Berlino e il One World Trade Center di New York. “Mi piace introdurre Libeskind – esordisce Vogelmann – con le parole riservate al suo progetto berlinese dall’architetto Bruno Zevi che parlava del suo museo come di un’opera che scudiscia la città e la elettrizza: ‘Rievoca l’orrore in modo gelido, tagliente e spontaneo’”. Interrogato sul ruolo dell’architetto rispetto alla crisi dei migranti Libeskind risponde: “Gli architetti sono cittadini che si battono per creare città migliori. Anche se non possono prendere iniziative e realizzare progetti senza aver ricevuto una richiesta specifica, vogliono creare attraverso la loro arte una giustizia, dare un contributo. L’architettura non è una tecnica ma una filosofia, racconta una storia”.
A dare il cambio a Libeskind sono poi Dani Schaumann e Yarona Pinhas che, moderati da Franco Di Mare, si concentrano sull’acqua, la risorsa del futuro. Se Pinhas spiega l’importanza della parola acqua nella Torah, Schaumann illustra come in Italia venga sprecato oltre il 40% di acqua per il cattivo funzionamento delle tubature, mentre in Israele le nuove tecnologie permettono di sprecare solo il 3%. Accanto alle conferenze, l’antico ghetto si è poi animato con tante iniziative: dalla mostra del fumettista Mario Camerini “Judei de Urbe. Storia illustrata degli ebrei di Roma”, al concerto della Ozen Orkestra, fino ai racconti improvvisati al Portico d’Ottavia di Micaela Pavoncello e il ring letterario che ha visto il pubblico votare testi di scrittori israeliani della tradizione contro quelli contemporanei, grazie alle letture degli attori Ketty Di Porto e Claudio Morici.
Stamane ad essere protagonista il valore dell’alimentazione nell’incontro “Il pranzo delle delizie: il cibo come cultura della comprensione” che ha visto il confronto tra il rav Roberto Colombo, l’imam Yahya Pallavicini e il professore di bioetica Alberto Garcia moderati da Laura Crinò.
“Il cibo – spiega rav Colombo – riflette il rapporto che l’uomo ha con la natura. D. dice all’uomo cosa può e non può mangiare per fargli capire che la natura non è sua, che non può gestire il mondo a suo piacimento”. L’imam Pallavicini affronta poi la dimensione rituale che assume il pasto nelle religioni: “La secolarizzazione ha fatto perdere quel senso di contatto col divino che si ha anche nel semplice atto della benedizione del cibo. La ritualità è una costante della vita, non c’è momento della vita in cui non si ricorda e benedica il S.”. In conclusione il professor Garcia condivide un punto di vista di studioso di bioetica: “La bioetica è la disciplina della sopravvivenza e quindi parlare del cibo è fondamentale. Non è solo un fatto biologico ma anche culturale e religioso perché la realtà stessa dell’uomo è più complessa e non meramente immanente e biologica. Bioetica significa saper amministrare bene o male il patrimonio che siamo stati incaricati di custodire”.
Appuntamento stasera, alle 19.30, con l’autore israeliano Etgar Keret che parlerà della città del futuro: Tel Aviv.
Rachel Silvera
(Ha collaborato Manuela Giuili)
(Nell’immagine in alto Daniel Libeskind, in basso l’esibizione della Ozen Orkestra)
(6 settembre 2015)