L’enigma non si scioglie

Schermata 09-2457282 alle 12.11.03 La storia narrata da Roberto Curci inizia con due suicidi, avvenuti a poche settimane di distanza, nel 1922, di due giovani sorelle di una famiglia di ebrei triestini, i Frankel. Delle due giovani perderemo subito le tracce, ma non della loro famiglia, ché ritroveremo una terza sorella tra i protagonisti di questa storia, né del proprietario della libreria antiquaria in cui le due sorelle lavoravano, del resto un loro cugino d’acquisto, Umberto Poli, più conosciuto come Umberto Saba. E la casa triestina dove si trovava la libreria antiquaria di Saba, che era poi la stessa dove c’era anche la sartoria della famiglia del protagonista di questa storia, Mauro Grini, era in via San Nicolò al numero civico 30. L’indirizzo che dà il nome al libro scritto da Roberto Curci, giornalista e scrittore che ha frugato attentamente negli archivi, per riportare alla luce una storia triste e sotto vari aspetti ancora non chiarita, “Via San Nicolò 30. Traditori e traditi nella Trieste nazista”.
La Trieste negli anni dell’occupazione nazista, una Trieste che non era formalmente annessa al Reich ma era parte della Zona d’operazione del Litorale Adriatico, è lo sfondo del libro. Il protagonista è un ebreo: non una vittima, come molti altri personaggi del libro, finiti alla Risiera di San Sabba e poi ad Auschwitz, ma un delatore, una spia che lavorò a stretto contatto con i nazisti per denunciare gli ebrei che tentavano di sfuggire all’arresto, che ne fece prendere varie centinaia, e che scomparve negli ultimi giorni della guerra, forse assassinato dagli stessi nazisti, forse in fuga sotto altro nome e scampato alla condanna che lo attendeva. Chi è Mauro Grini e che cosa c’è all’origine della sua attività di spia? Curci non riesce ad individuare nessuna motivazione in grado di spiegarla, a parte la pura e semplice avidità di denaro, dal momento che riceveva 7000 lire per ogni ebreo denunciato. Anche le versioni sul momento in cui Grini cominciò a collaborare con i nazisti sono divergenti. Secondo alcune versioni, la sua collaborazione iniziò nell’aprile o maggio del 1944, dopo l’arresto, e rappresentò una sorta di scambio per garantire la vita dei suoi famigliari. Ma ci sono testimonianze di una sua attività già nei mesi precedenti, subito dopo l’occupazione.
All’epoca, Mauro Grini ha 34 anni, un passato scapestrato, una famiglia con cui è in rapporti tesi, un fratello, Carlo, che nel dopoguerra dirà di essere stato arrestato grazie a lui. Mauro viene arrestato nella primavera del 1944 ed è detenuto alla Risiera di San Sabba con il resto della sua famiglia, ma sia lui che i suoi si trovano in una posizione privilegiata: nessuno di loro è destinato alla deportazione e suo padre gestisce nel campo un laboratorio di sartoria. Mauro, da parte sua, entra ed esce liberamente dalla Risiera e insieme alla moglie Maria Collini si accompagna ai nazisti nella caccia agli ebrei. Secondo una scheda diffusa prima della Liberazione dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, Grini avrebbe fatto arrestare trecento ebrei a Trieste, cento circa a Venezia, e nel marzo 1945 continuava alacremente la sua attività a Milano. Al suo attivo, in particolare la deportazione degli ebrei ricoverati in case di cura, ospedali, manicomi, case di riposo. Tra questi, i 22 ricoverati alla casa di riposo di Venezia, fra di loro il rabbino Ottolenghi cieco e sordo. Grini si muove, oltre che a Trieste, nel Veneto e in Lombardia e alla fine del 1944 lo troviamo perfino a Firenze. Nei suoi giri per individuare gli ebrei si accompagna ad un ufficiale nazista di alto grado, Franz Stangl. Stangl che operò anche in Germania nell’operazione T4, fu comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka, e poi passò a Trieste alla Risiera di San Sabba. Nel dopoguerra, Stangl riuscì a fuggire subito prima di essere processato e si rifugiò in Brasile. Vi visse libero per oltre quindici anni, poi nel 1967 le ricerche del centro Wiesenthal portarono al suo riconoscimento. Fu estradato in Germania e condannato all’ergastolo per l’assassinio di 900˙000 esseri umani. Morì d’infarto nel 1971, il giorno dopo aver terminato di rilasciare a Gitta Sereny una lunga intervista destinata a confluire nel suo libro intitolato “In quelle tenebre”.
Se Stangl è senz’altro il personaggio più nero tra i nazisti che circondano Grini, molti altri ne appaiono nel libro di Curci, come August Dietrich Allers, Otto Stadie e l’autista Konrad Geng. E poi, naturalmente, c’è la sfera dell’ambiguità, rappresentata in particolare dal fratello di Mauro, Carlo, che alcune testimonianze accusano di delazione e collaborazione con i nazisti, e che fu assolto nel 1976 da ogni accusa, divenuto nel dopoguerra il marito della terza sorella Frankel, Lidia. Trieste in realtà è piena di collaborazionisti e di spie vanta, in un’Italia occupata che non ne è certo priva, una sorta di primato. Spie e delatori, è vero, ne troviamo anche nel resto d’Italia, un’attività facilitata dalla taglia posta sulla testa degli ebrei. A Trieste, a differenza che a Roma, dove anche c’era una famosa spia ebrea, Celeste Di Porto, gli arresti venivano operati direttamente dalle SS, con l’aiuto di spie e delatori, non dai fascisti. Ma a Trieste, come si sa, l’apparato della RSI era ridotto al minimo e non aveva quasi autonomia di azione. A questa fascia attiva di collaborazionisti, si accompagna un’ampia zona grigia, fatta di indifferenti, di persone attente solo alla propria salvezza particolare, a profittare della situazione oltre che per sopravvivere anche per arricchirsi. E poi, nel dopoguerra Trieste diventa, per la particolare situazione in cui viene a trovarsi fra gli Alleati e gli jugoslavi, una sorta di zona franca per molti nazisti che addirittura vi si stabiliscono: Otto Stadie, Konrad Geng, ma perfino il boia di Sobibor Demjanjuk, e molti altri.
Di Mauro Grini si perdono le tracce a pochi giorni dalla Liberazione. Il fratello Carlo sostiene che sia stato ucciso insieme alla moglie da Stadie per ordine di Stangl e racconta che gli aveva raccontato, in quegli ultimi giorni, di essere stato privato della sua pistola. Ma altri testimoni sostengono di averlo visto nel dopoguerra. L’ipotesi, a cui l’autore sembra incline, è quindi che Grini sia riuscito a fuggire e si sia poi rifugiato, come tanti altri criminali, in Sudamerica. Nel 1947, la Corte d’Assise straordinaria di Milano lo condannò a morte e nel 1948 emise parere sfavorevole ad una richiesta di grazia. I documenti non soccorrono né Curci né noi per capire, se non la ragione di una condanna a morte emessa contro una persona considerata morta, quelle di una successiva domanda di grazia, ignoriamo perfino da chi presentata. Per Celeste Di Porto, a Roma, non ci fu domanda di grazia, del resto era stata condannata a una pena talmente lieve che pochi furono gli anni trascorsi in galera. Ma un’altra spia italiana, anch’essa in parte ebrea, Dino Segre al secolo Pitigrilli, tentò alla fine degli anni Quaranta dall’Argentina dove si era rifugiato di sondare il terreno in vista del perdono. Il tentativo fallì e non fu rinnovato.
La carenza di documenti che ricostruiscano la storia della Trieste sotto l’occupazione è attribuita da Curci alla volontà degli angloamericani, nel clima della Guerra Fredda e nella particolare situazione di Trieste, di far sparire le tracce delle violenze dell’occupazione e delle attività di nazisti e spie. Del resto, anche della Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio presente sul suolo italiano, si seppe assai poco per molto tempo. Si cominciò a parlarne, a raccogliere testimonianze, a scriverne solo negli anni Settanta, e l’apice di questa attività memoriale è riconducibile al processo tenutosi a Trieste nel 1976 e rimasto noto sotto il nome di Processo della Risiera di San Sabba. Processo che vede più volte apparire il nome di Mauro Grini e che l’autore utilizza qui ampiamente insieme alla sentenza del giudice istruttore Sergio Serbo che rinviava a giudizio i responsabili della Risiera. E se qualcosa nel libro, peraltro così pieno di spunti e suggestioni, sembra mancare è proprio la storia della memoria a Trieste di questi mesi di occupazione e della Risiera di San Sabba. Percepiamo, ad esempio, da una frase del giudice sulla richiesta di grazia di Mauro Grini, che la Comunità ebraica di Trieste gli era naturalmente molto ostile, che la sua attività era ben presente nella memoria dei triestini. Ma vorremmo saperne di più.
Ma di un altro protagonista del libro non abbiamo parlato, eppure è ben presente nelle pagine di Curci: di Umberto Saba. Che è poi simbolo della stessa Trieste, città del tutto particolare, con una sua cultura assai peculiare, che qui non viene analizzata ma fa piuttosto da sottofondo alle vicende narrate. Ritroviamo Fano, Voghera, le suggestioni della cultura mitteleuropea, Joyce il cui primo figlio nacque proprio nella casa di via San Nicolò 30, e naturalmente Saba. Un Saba in qualche modo al tempo stesso ebreo e antisemita, tema di molte discussioni fra gli interpreti, e che sembra sintetizzare nel suo modo di porsi rispetto agli ebrei quella zona grigia di cui parlavamo più sopra. L’enigma non si scioglie e tutte le strade restano aperte.

Anna Foa, storica

(16 settembre 2015)