Diritti umani, l’Europa risponde
Quasi ottocento dichiarazioni, cinquecento documenti in archivio, decine di migliaia di partecipanti. Sono i numeri del Human Dimension Implementation Meeting (HDIM), la conferenza annuale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), il maggiore vertice sui diritti umani che dal 1998 si svolge a Varsavia, nato per garantire un monitoraggio regolare sulla situazione dei 57 paesi membri. Molti i temi scottanti di quest’anno, la cui edizione si chiude oggi. In particolare la condizione dei molti migranti che varcano le frontiere europee e dei traffici di esseri umani, ma anche la diffusione di violenza attraverso il web e i problemi affrontati dalle minoranze religiose, che sono stati oggetto di una giornata a esse dedicata. “È stato importante per me esserci per ricordarsi vicendevolmente il dovere di proteggere ogni cittadino contro parole, azioni e campagne che portino odio, criminalità e discriminazione”, ha raccontato Karin Flieswasser, delegata della European Union of Jewish Students, che ha anche pronunciato un discorso per “rappresentare la voce dei giovani ebrei europei”.
La sessione di quest’anno sulla lotta all’antisemitismo, all’interno della giornata dedicata alle minoranze religiose, ha fatto partire la riflessione dalla conferenza dell’OSCE sul tema svoltasi nella capitale tedesca a novembre dell’anno scorso, che ha riunito membri di governi e rappresentanti della società civile a dieci anni dalla Dichiarazione di Berlino sulla lotta all’antisemitismo, al fine di implementarne gli effetti e adattarla alle sfide di oggi. Sfide che per Flieswasser sono costituite ad esempio dall’aumento esponenziale dei casi di incitamento all’odio razziale in rete, “che preparano il campo per la violenza anche offline”, ma soprattutto dalla “mancanza di buoni esempi da parte delle leadership europee e di politiche che aiutino a chiarire la confusione tra il significato di condurre una vita ebraica e l’immagine politica di Israele, necessarie specialmente dopo l’ultimo conflitto con Gaza nel 2014”.
Una preoccupazione, quella che riguarda il ruolo delle leadership governative europee, condivisa anche dall’Unione Europea, che ha espresso in un documento quali punti nelle sue politiche necessitino di una maggiore implementazione, alla luce dei rapporti, tra cui quello di quest’anno sull’antisemitismo nei paesi membri, dell’Agenzia per i diritti fondamentali, il principale strumento diagnostico dell’UE sui diritti umani. “Nel campo d’azione dell’OSCE, l’UE è particolarmente preoccupata dalla mancanza di mezzi specifici di contrasto al flagello delle discriminazioni, così come dalla strumentalizzazione politica di alcuni incitamenti all’odio. L’anno passato – si legge nel documento – abbiamo avuto l’occasione di deplorare più volte la mancanza di coinvolgimento delle autorità pubbliche di alcuni Stati membri nella lotta contro gli atti di intolleranza, che fossero per motivi sociali, etnici, razziali o di orientamento sessuale, e il loro silenzio o addirittura l’adozione di misure apertamente discriminatorie o stigmatizzanti, incoraggia tali comportamenti”. Lavorare a una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni è dunque l’obiettivo primario dell’Unione Europea e del suo intervento all’interno dell’OSCE, “dal momento che il terrorismo si nutre dell’umiliazione, dell’insicurezza, dello sradicamento e delle ingiustizie economiche e sociali, e delle violazioni delle libertà fondamentali”. Solo degli Stati “che garantiscano il rispetto dei diritti umani per tutti gli individui di qualunque appartenenza – conclude il documento dell’UE –, che proteggano il pluralismo di opinioni, che lottino contro ogni forma di discriminazione e che assicurino a ognuno una cittadinanza piena e intera, possono essere capaci di restaurare la fiducia delle popolazioni, e prima di tutto della gioventù”.
f.m. twitter @fmatalonmoked
(2 ottobre 2015)