Qui Roma – Pecore in erba
“Il coraggio dell’autoironia”

pecore“La cosa che colpisce è che ci si trova davanti ad un genere fuori dal coro, molto originale” commentano Wicky Bublil, Gioia Terracina e Alessandra Levi mentre escono dal cinema Quattro Fontane di Roma dopo aver visto “Pecore in erba”, l’opera prima di Alberto Caviglia nella quale viene affrontato lo spinoso tema dell’antisemitismo usando l’arma della satira. “Se qualcuno della comunità ebraica si sentisse risentito o offeso dalle battute – continuano – vorrebbe proprio dire che non ne ha colto il senso”. “Certo – concludono – il film è adatto ad un pubblico di nicchia ma speriamo lo stesso che a vederlo siano in tanti”.
Da ieri nelle sale italiane, dopo la presentazione in Laguna durante l’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, “Pecore in erba” convince anche il giovane Luca Menasci che racconta a Pagine Ebraiche: “Mi è sembrato molto carino e divertente e, per essere un mockumentary (il genere del finto documentario in chiave comica), ha un ritmo piuttosto incalzante. Anche la fotografia non è poi da sottovalutare”.
Ad essere al centro della scena del lungometraggio, la scomparsa di Leonardo Zuliani, interpretato da Davide Giordano, ventenne romano, che ama odiare e si riempie di macchie in faccia al solo sentir parlare di ebrei, con tanto di convulsioni provocate dall’ascolto della tipica Hava Nagila.
“Mentre vedevo delle scene del film – racconta Maurizio Olmeda – mi è venuto in mente il primo Woody Allen, quello di Prendi i soldi e scappa, e auguro al regista un percorso simile”.
Le riflessioni arrivano poi da Sara Astrologo, presente all’anteprima romana di qualche settimana fa: “Il film è arguto, a tratti geniale e riserva una chicca dopo l’altra ma forse è troppo lungo: la trama è infatti circolare e a volte rischia di essere ridondante. Nel complesso però lo consiglierei senza ombra di dubbio. Non credo potrà raccogliere il target da cinepanettone ma entusiasmerà sicuramente un pubblico contraddistinto da una certa formazione culturale”. “Se da una parte – conclude – ‘Pecore in erba’ serve agli ebrei per recuperare il gusto della risata e per vivere con più leggerezza, dall’altra evidenzia quanto la società abbia bisogno di confrontarsi ancora con il tema dell’antisemitismo”.
“Il film di Alberto – commenta Tobia Zevi – prende spunto dalla descrizione di una certa romanità, della quale fa riferimenti sociali, gastronomici e umani, rendendola una metafora di qualcosa di più grande. ‘Pecore in erba’ denuncia l’antisemitismo ma dà gli strumenti per denudare ciò che si annida tra le maglie di qualsiasi forma di pregiudizio e meschinità; ovvero niente altro che la frustrazione e una certa insoddisfazione verso se stessi”. “Ho avuto la fortuna di seguire l’evoluzione della pellicola – prosegue Zevi – fin dall’inizio. E se prima lo vedevo come un esperimento puramente intellettualistico destinato ad una stretta cerchia, dopo la proiezione mi sono reso conto che può tranquillamente essere apprezzato da un grande pubblico, specialmente non ebraico: i miei amici in sala ne sono stati entusiasti. L’unico appunto è stata la presenza di tutti questi personaggi noti che fanno la loro apparizione nelle scene; forse erano fin troppi, questo film va oltre i cameo”.
Contraddistinto da battute al vetriolo che attingono dalla tradizione del witz ebraico e si mescolano alla satira di una tipica romanità, il film di Caviglia piace a Shany Guetta, studentessa: “Non penso che ‘Pecore in erba’ possa offendere qualcuno, ciò negherebbe l’aspetto fondante della cultura ebraica di secoli: l’autoironia; ma anzi credo che proprio l’utilizzo della satira lo abbia reso fattibile. La situazione paradossale raccontata dal regista non è poi così lontana da certe notizie che ci arrivano ogni giorno: l’antisemitismo è un fenomeno molto più reale di quanto si creda”. “Ci sono dettagli – prosegue – che verranno recepiti fino in fondo solo dalle generazioni di ventenni, trentenni romani, penso a personaggi come il mago Guarda o alla fantasiosa Lega Nerd, ma in fondo in sala le risate arrivavano anche da persone molto diverse tra di loro”.
“L’ho trovato un film intelligente – spiega Giorgio Campagnano – che fa riflettere su quanto l’antisemitismo sia un fenomeno che esiste e persiste e che in alcuni casi viene quasi legittimato. Se qualcuno avrà qualcosa da ridire vedendo le scene del mockumentary, vorrà dire che ha un po’ la coda di paglia”. “Lo penso anche io – conclude Dora Anticoli – quella di Caviglia è una prima prova che si contraddistingue per le sottigliezze, basti pensare alla presa in giro dedicata al tipico negazionista, basata tutta su contrari e inversioni: uno spasso”.

Rachel Silvera twitter @rsilveramoked

(Nell’immagine una scena del film)

(2 ottobre 2015)