Periscopio
La solitudine di Israele

lucrezi Mi dispiace molto scriverlo, ma temo, purtroppo, che Israele e il popolo ebraico nel suo insieme stiano attraversando uno dei periodi più tragici della loro storia contemporanea, dopo la Seconda guerra mondiale. Anche nei terribili momenti in cui lo Stato ebraico è stato sottoposto a tentativi di distruzione militare (nel ’48, nel ’67 e nel ’73), forse, la situazione non appariva altrettanto fosca, dal momento che esisteva pur sempre la speranza che, sconfitti i nemici, si sarebbe aperta, prima o poi, una finestra di pace. E l’antisemitismo, se montava imponente nei Paesi islamici, nel Terzo Mondo e nel blocco comunista, pareva marginale in Europa e in America, e c’era la diffusa sensazione, sbagliata, che si trattasse di un fenomeno residuale e in via d’estinzione. Oggi, invece, il quadro mondiale è davvero nero, non rischiarato da nessuna luce, da nessuna illusione.
Come ha scritto in un lucido e dolente articolo, pubblicato su Pagine Ebraiche di settembre, Sergio Della Pergola, la solitudine di Israele non è mai stata tanto tangibile. La soddisfazione universale per l’accordo raggiunto sul nucleare iraniano (per i cui realizzatori si sente addirittura delirare di un conferimento del Nobel della pace!), nell’universale indifferenza per i dichiarati progetti di genocidio perseguiti dal sinistro regime persiano, esprime in modo irrefutabile quanto la sopravvivenza e la sicurezza di Israele stiano a cuore al resto del mondo. Un concetto che è stato mirabilmente espresso dal minuto di silenzio osservato – senza tuttavia turbare la coscienza di nessuno -, all’Assemblea Generale dell’ONU, dal premier israeliano. Il discorso, intriso di falsità e veleno, pronunciato il giorno prima, nella stessa Aula, dal Presidente dell’ANP ha ribadito, per l’ennesima volta, ciò che si sa da sempre, ossia la totale inesistenza, dall’altra parte, di un interlocutore minimamente affidabile. I sanguinosi attentati terroristici contro le famiglie israeliane – bambini, genitori, adolescenti, anziani – si intensificano a ritmo impressionante, con un sempre crescente sostegno popolare, in una micidiale marea nella quale la scelta dei mezzi offensivi – pallottole, coltelli, pietre, molotov – appare casuale, perché l’importante è soltanto, in ogni caso, colpire. Sembra ormai iniziata una Terza Intifada (anche se, come ha scritto Fiamma Nirenstein sul Giornale del 5 ottobre, “la Seconda non è mai finita nelle motivazioni, nella forma, nell’indifferenza del mondo, nella copertura fornita dall’Autonomia Palestinese e dall’opinione pubblica occidentale”). Intanto, sui mezzi di informazione occidentali dilaga inarrestabile quella che è stata giustamente definita la “leggenda nera”, l’ossessiva criminalizzazione di Israele come stato razzista, violento e oppressivo, meritevole di ogni possibile biasimo e disprezzo. Una leggenda ormai raccontata e ripetuta, in tutte le lingue, tante di quelle volte, che non c’è alcun bisogno di ripeterne le argomentazioni: è così, e basta. Non c’è, in pratica, un solo giorno in cui non si legga di qualche nuova adesione – da parte di qualche Paese, qualche città, qualche intellettuale, qualche artista – alle campagne di boicottaggio, e l’unica discussione che si pone è se si debbano boicottare tutti i prodotti israeliani o soltanto quelli prodotti nelle colonie: i più coerenti e sinceri propendono per la prima soluzione, i più timidi e ipocriti (come il Parlamento Europeo) per la seconda.
La cosa più triste e desolante, in generale, è che il mondo pare decisamente assestarsi su un doppio piano di giudizio morale, uno valevole per Israele, l’altro per tutto il resto. La grande illusione, seguita alla sconfitta del nazifascismo, che gli ideali di democrazia e libertà avessero trionfato dovunque, è definitivamente sepolta, così come appare lontana anni luce l’altra illusione, del 1989, secondo cui la fine del comunismo potesse segnare una “fine della storia”, con la definitiva vittoria del modello liberaldemocratico e delle sue virtù.
La storia non solo non è finita, ma, come un vaso di Pandora troppo a lungo sigillato, pare liberare, tutti insieme, i peggiori dèmoni del suo passato.

Francesco Lucrezi, storico

(7 ottobre 2015)