Qui Torino – Migranti e rifugiati
Diritto d’asilo, voci a confronto

nl 151009 Torino migranti religioni (alice)“Dibattito interreligioso sul diritto di asilo e rifugio dei migranti”. È il tema scelto per uno dei principali appuntamenti della terza Festa della Cittadinanza del quartiere San Salvario di Torino, dove si trovano sia la sinagoga che tutti gli edifici comunitari. Organizzata dall’Anpi insieme alla locale circoscrizione, la serata ha affrontato un tema delicato e profondamente attuale dal punto di vista delle quattro confessioni religiose presenti nel quartiere. Bertin Nzonza, rappresentante dei valdesi che hanno ospitato l’incontro nel loro tempio, a pochissima distanza dalla sinagoga, si è così confrontato con il rappresentante dei musulmani, Khaled Fayyad, con don Mauro Megola e con Franco Segre per la Comunità ebraica, rappresentata in sala anche dal Presidente Dario Disegni e dal Consigliere David Sorani. Fredo Olivero, per lunghi anni direttore dell’Ufficio Pastorale Migranti, ha introdotto il tema sottolineando come la categoria “migrante” sia trasversale a tutte le epoche storiche e a tutti i paesi: “Tutti siamo stati o potenzialmente saremo migranti”. Inoltre quest’anno il numero di italiani che hanno abbandonato il paese alla ricerca di un futuro migliore ha superato quello degli stranieri che vengono in Italia. Pietro Marcenaro, presidente del Centro Piemontese di Studi Africani, ha insistito sulla necessità di un cambio di prospettiva da parte delle istituzioni nei confronti del fenomeno migrazione, che non è da considerare un problema contingente ma piuttosto una dinamica di medio-lungo periodo, condizione necessaria a mettere in atto politiche efficienti. Per Marcenaro un altro deficit sta nell’atteggiamento verso i paesi di origine: la stessa Italia tende a mettersi in contatto solo per richiedere di limitare i flussi, mentre dovrebbe impegnarsi nella costruzione di un dialogo non solo legato ai numeri. “Il coinvolgimento diretto degli stati di provenienza – ha concluso Marcenaro – è necessario per la semplice ragione che gli immigrati continueranno ad avere un legame con la propria terra, un legame non solo culturale, ma anche economico”. Bertin Nzonza, membro del consiglio della Chiesa Valdese, ha spiegato come la scelta stessa del luogo dove sostenere l’incontro, un luogo di culto, sia stata pensata come un richiamo alla responsabilità, importante in tutta la città, in cui convivono più di cento etnie, e sentito soprattutto in un quartiere come San Salvario.
Per fare comunità sono necessari strumenti, servono luoghi di ritrovo, di dialogo, e Khaled Fayyad, imam della moschea del quartiere, che ha invitato alla mobilitazione collettiva per risolvere il problema prima di tutto nei paesi d’origine dei migranti, ha insistito sulla necessità di diffondere la cultura di accettazione dell’altro, così da riconoscere nell’immigrato un valore su cui si può e si deve investire, un riconoscimento che può diventare cura di ferite morali, oltre che fisiche.
Don Mauro Megola, della Parrocchia SS Pietro e Paolo, ha raccontato dinamiche passate che hanno coinvolto la sua stessa chiesa e la città di Torino, raccontando le storie dei primi immigrati che giungevano in città, e in particolare nel quartiere di San Salvario per cercare nuove opportunità di lavoro offerte dall’imminente costruzione della stazione ferroviaria di Porta Nuova. Da qui una riflessione sul concetto stesso di cittadinanza: “È cittadino chi costruisce, è straniero chi distrugge”. A concludere l’incontro l’intervento di Franco Segre, Consigliere al culto della Comunità ebraica torinese: la sua riflessione è partita dall’analisi della parola ebraica gher, diverso. Nella lingua ebraica essa ha due significati ben distinti: il primo è riconducibile a colui che entra nel mondo ebraico (o più in generale nella società), per risiedervi per un periodo non determinato, senza però rinunciare alle sue qualità di diverso. Da qui il dovere di chi lo accoglie di riservagli il diritti di conservare le sue peculiarità. Il secondo tipo di gher invece intende integrarsi e il mondo ebraico deve impegnarsi ad assimilarlo completamente, trattandolo alla pari degli ebrei che lo sono per nascita. Si è poi soffermato sul concetto di pace, che inevitabilmente si pensa che vada fatta con un qualche nemico, ma la falla sta nel concetto stesso di nemico, radicato nella coscienza collettiva. Il nemico è per definizione diverso. Ma il diverso non è per definizione un nemico.

Alice Fubini

(9 ottobre 2015)