Radicali senza radici / 2
Nella destra radicale un conflitto egemonico si è svolto in questi due decenni è ha visto contrapposte essenzialmente due entità. Da una parte Forza Nuova, movimento-partito nato negli anni Novanta, come punto di riaggregazione dell’area, su ispirazione e guida di Roberto Fiore e Massimo Morsello. I due leader condividevano una pregressa militanza nel microuniverso delle organizzazioni dell’eversione della destra capitolina, almeno a quanto la magistratura ha poi appurato. Dopo un periodo di cattività a Londra, il ritorno in Italia si è accompagnato all’ambizione di dare un nuovo volto ad una intera area politica, espandendone le potenzialità e le capacità aggregative. A seguire, con uno scarto temporale di alcuni anni, nel 2003, avviene la nascita di CasaPound, poi CasaPound Italia dal 2008, definitasi “associazione di promozione sociale”. In questo secondo caso le caratteristiche di innovazione sono estremamente marcate. L’autodefinizione (ed evidentemente la considerazione di sé) è, infatti, quella di “fascisti del terzo millennio”. Si tratta di qualcosa di più di uno slogan. Intanto, va detto che la nascita di CasaPound si inserisce dentro un processo che chiama in causa un’area subculturale e sociale, quella delle cosiddette “occupazioni non conformi” e “occupazioni a scopo abitativo”, il cui significativo precedente era costituito dall’esperienza di CasaMontag, nei pressi di Roma. Si aveva a che fare – secondando per alcuni aspetti un criterio che già in alcuni segmenti della sinistra radicale, spesso di matrice anarchica, stava portando alla creazione di Centri sociali autogestiti – di dare una finalità residenziale e di socialità all’azione politica. L’idea di fondo era quella di coniugare gli spazi del territorio lasciati a sé (a partire dagli stabili residenziali abbandonati) con una collettività composta non solo da militanti politici, già ideologicamente formati, ma anche da famiglie. Il fuoco dell’azione era soddisfare un bisogno altrimenti destinato a rimanere lettera morta, quello dell’abitazione in un regime di ‘social housing’, espressione con la quale si indica la volontà di offrire sia alloggi che servizi condivisi a coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato (per ragioni economiche come per mancanza di un’offerta adeguata), cercando di rafforzarne la condizione contrattuale, la loro capacità gestionale, la creazione di spazi condivisi e di cogestione di varie funzioni. La centralità organizzativa della Capitale emerge in questo progetto come in altri casi: Roma, con gli anni Novanta, come già era valso per Forza Nuova, torna ad essere il centro dello sviluppo del radicalismo di destra scalzando, nel suo primato, sia Milano che altre città le quali, per storia così come per insediamento politico, nel corso dei decenni precedenti avevano svolto un ruolo di primo piano. Non di meno, la rigenerazione della destra radicale si incontra, non solo per un effetto di sincronia e corrispondenza temporale, ma anche come risultato di una sorta di mutamento culturale generale, con la vittoria del centro-destra guidato da Silvio Berlusconi. Un po’ per tutta l’area delle destre (anche in questo caso il plurale è d’obbligo), da quella neoliberale – lontanissima dal neofascismo – a quella radicale e antidemocratica, lo spirito del tempo sembra propizio ad una revisione sia dei presupposti della democrazia repubblicana sia del proprio stesso modo di essere. Peraltro, il primo partito a beneficiare di tale situazione fu lo stesso Movimento sociale italiano, poi Alleanza nazionale che, con il suo segretario Gianfranco Fini, conobbe non solo uno ‘sdoganamento’ politico ma anche una legittimazione a governare. La quale, nel passato, invece, gli era stata riconosciuta solo sottobanco, come forza occasionale di appoggio sul piano parlamentare, all’interno della contrattazione partitica. Forza Nuova e CasaPound, per parte loro, recuperano due temi identitari da essi ritenuti tanto forti quanto motivanti: la visione del fascismo in chiave non più strettamente reducistica (quindi una minore concessione ai temi sia del fascismo-regime che dell’esperienza saloina) e, al medesimo tempo, la dichiarazione di volere superare la dicotomia tra destra e sinistra a favore di una sorta di sintesi ideologica. Va rilevato che, almeno in questo secondo caso, si tratta di una posizione non nuova nel radicalismo di destra. Lo stesso neofascismo tradizionale, quello che si confronta, a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, con le trasformazioni della società italiana, aveva espresso il suo malessere in tali termini, idealizzando una posizione che andasse “oltre” l’esistente. Senza peraltro offrire nulla di credibile, se non nel dare corpo al proprio dissenso verso il Movimento sociale di Giorgio Almirante, alternativamente accusato di moderatismo, compromissione con gli interessi più conservatori, collusione con gli apparati “deviati” dello Stato, opportunismo e politicismo. Tra le critiche di allora e la rigenerazione degli anni Novanta stava però di mezzo l’esperienza degli «anni di piombo», dello stragismo, dello spontaneismo armato (che a Roma aveva assunto una piega efferata, dai Nuclei armati rivoluzionari a Terza posizione) ma anche, su un altro versante, la Nuova destra di Marco Tarchi, dove le cose avevano preso una piega più pronunciata, virando verso l’area dell’azione ‘meta-politica’, prima intesa come impegno culturale, poi come sfumato intervento sociale. CasaPound, a conti fatti, raccoglie e rielabora gli echi di queste suggestioni di lungo periodo. In questo scavalca abilmente Forza Nuova, riuscendo a miscelare temi più tradizionali e congrui al neofascismo (dallo spiritualismo alla visione gerarchica dell’organizzazione sociale, tra gli altri) con il bisogno diffuso di tradurre la politica in azione concreta. Ciò facendo, non intende necessariamente tale esercizio come ricorso alla forza nei confronti delle controparti, semmai adoperandosi nell’assunzione di alcuni elementi della cultura popolare diffusa e di quella di matrice pop, quest’ultima rielaborata attraverso il rapporto con i mezzi di comunicazione (fatto che si traduce nella partecipazione alle trasmissioni televisive delle reti nazionali e ad una robusta presenza nei network comunicativi). La prassi delle occupazioni degli stabili abbandonati, che prosegue nel corso del tempo, si inscrive all’interno di questa logica di presenza sociale e territoriale. Lo stesso riferimento ad una figura intellettuale come il poeta Ezra Pound, e ai suoi “Cantos”, indica lo sforzo di dare di sé una immagine non convenzionale, anche se i motivi di fondo (la lotta all’”usura”, la “terza posizione” tra capitalismo e comunismo, la rilettura dell’esperienza della Repubblica sociale italiana come esperimento atipico rispetto ad altri fascismi) rivelano il totale ancoraggio ad una parte cospicua del patrimonio ideologico neofascista. Dei diversi tentativi di tradurre questo insieme di esperienze in capitale politico (come l’alleanza con il Movimento sociale-Fiamma tricolore, velocemente abortita, oppure la presenza di propri candidati in liste civiche locali o legate al centro-destra, fino alla presentazione di liste autonome) probabilmente l’evento più significativo è il sostegno, durante le elezioni europee del 2014, alla candidatura di Mario Borghezio nella circoscrizione Italia centrale. Il successo dell’iniziativa ha dato corpo ad una serie di scambi tra CasaPound e la Lega di Matteo Salvini, sulla base di una concezione sovranista dell’azione politica (ripristinare le piene prerogative dello Stato nazionale), anti-europeista (contro l’Unione “bancaria”, a favore dell’”Europa dei popoli”), avversa all’immigrazione e alla mixité (cioè all’ibridazione delle comunità e delle culture), identitaria e neonazionalista nonché ostativa del “signoraggio bancario”, termine che ha sostituito il richiamo all’usura. Il rapporto, a tutt’oggi in corso, tra le due entità politiche, più che segnare una accresciuta sensibilità del movimento della destra radicale verso il leghismo, inversamente, è dovuto perlopiù allo spostamento di baricentro culturale e politico, nei riguardi del repertorio fascistoide, della Lega sotto la segreteria di Matteo Salvini. In altre parole: è la Lega che si è mossa verso quella destra, abbandonando alcuni temi più strettamente regionalisti, secessionisti o pseudo-federalisti. A fianco delle organizzazioni di maggiore consistenza, si registra poi un pulviscolo di entità minori, come la versione italiana di Alba dorata, partito dalle buone fortune elettorali in Grecia; la nuova edizione del Movimento fascismo e libertà-Partito socialista nazionale, che “si rifà solo e semplicemente al fascismo, quel fascismo che nacque come terza via fra socialismo e destra liberale, e che seppe conciliare, grazie alla genialità del Duce, una pluralità di uomini provenienti dalle esperienze politiche e sociali più disparate”. Anche e soprattutto da ciò la considerazione per cui esso “non è un movimento di destra, ma dichiaratamente fascista; non ha nulla a che fare con la destra, sia essa moderata, estrema, sociale e quant’altro”; la Destra nazionale di Gaetano Saya, completamente assorbita dal tema della lotta all’immigrazione; l’organizzazione Militia, piccolo network che ha il suo leader in Maurizio Boccacci, esponente di punta della destra extraparlamentare capitolina, attivo già negli anni Settanta; la grande quantità di gruppi, associazioni e nuclei che, soprattutto nel nord d’Italia, si richiamano all’eredità fascista ma anche a quella nazionalsocialista, a partire dal Veneto Fronte Skinheads, figliato dal circuito Rock Against Communism nella seconda metà degli anni Ottanta; il centinaio di gruppi ultras dichiaratamente di destra estrema. In questo microuniverso, la destra radicale ha quindi rinegoziato con se stessa i suoi presupposti culturali, ideologici e politici. Il revanscismo, ma soprattutto il nostalgismo, non le risultano più sufficienti da molti anni. Un primo tentativo di uscire dal “ghetto dell’esilio in patria” erano state le scissioni silenziose avvenute nel Movimento sociale italiano durante gli anni Settanta. Se alcune privilegiavano ancora l’azione anticomunista, fino alla deriva stragista di certi segmenti, altre, completamente diverse, si ponevano nell’ottica di fecondare una frattura intergenerazionale, come la già ricordata Nuova destra di Tarchi. Oggi, tuttavia, la destra radicale si dà essenzialmente come tentativo di risposta ai processi di globalizzazione, di cui ne denuncia la logica omologante. Lo fa sollecitando, nelle società in crisi di ruolo e funzioni, il bisogno di recuperare una dimensione comunitaria, su base etnica, basata sul riordino dei due assi spiazzati dalle crisi indotte dalla ‘mondializzazione’: lo spazio, abbandonato a sé dalle élite e recuperato dalla destra radicale attraverso la presenza nel territorio; il tempo, accelerato e polverizzato clamorosamente dai mutamenti: di quest’ultimo, la destra radicale dice, a quanti sono disposti ad ascoltarla, che c’è una prospettiva possibile, in divenire, che ingloba in sé non il tempo della rivoluzione ma quello della restaurazione di un ordine di senso su base rigorosamente gerarchica e verticale. Si tratta di dare vita, dal caos delle contaminazioni, ad un nuovo ordine. In tale prospettiva tutto ciò va quindi contrapponendosi a quella globalizzazione che si presenta, inversamente, come un processo orizzontale, destinato invece a rompere gerarchie e a creare una falsa informalità, basata sull’accesso indiscriminato a una serie infinita di sollecitazioni, senza però che vi siano codici di fruizione condivisibili. Il social housing di CasaPound, se in tali termini si deve parlare delle occupazioni di stabili (come anche dell’attività solidaristica messa in atto con il gruppo della “Salamandra”, inteso come “nucleo di protezione civile”), si ridisegna su queste coordinate, ben sapendo che l’appello politico è, da se stesso, nella sua unicità, oramai del tutto insufficiente in tempi di ‘società liquida’.
(2/continua)
Claudio Vercelli
(11 ottobre 2015)