Gli altri
Nel suo discorso per la chiusura del Kippur, la più solenne festività ebraica, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni scriveva così: “Deve cambiare il nostro rapporto con gli altri. Se le discussioni sono necessarie e vitali, la mancanza di rispetto nei confronti del prossimo è devastante e i danni che possiamo compiere con le nostre parole, o gli interventi sui social networks sono gravi e moltiplicati. Prima di parlare e fare guerra, di distruggere l’avversario, pensiamo anche ai danni collaterali su noi stessi e la nostra dignità e sugli innocenti che vengono coinvolti”.
Ho recentemente ripensato a queste parole ascoltando un seminario tenuto da Gianni Riotta, giornalista ed esperto di nuovi media e ‘big data’. Spiegava un fatto tecnico dai risvolti antropologici e culturali: i dati su internet tendono ad aggregarsi per logiche commerciali. Se, per esempio, cerchiamo un volo per la Tunisia, sul nostro pc cominceranno a comparire offerte di alberghi, escursioni ed eventi in quel paese. Il computer seleziona per noi una ‘visione del mondo’, accomunandoci agli altri appassionati di quella destinazione, e dunque ci distilla un punto di vista specifico.
A questa componente passiva se ne aggiunge una attiva: aderiamo ai gruppi e alle chat affini ai nostri interessi, confrontandoci con coloro che dunque già li condividono. In terzo luogo, la rete spinge verso l’individualità. L’incontro con gli altri è mediato dal monitor e privato di un contesto reale. Il combinato disposto di questi tre fattori produce conseguenze rischiose: siamo meno portati a interagire dal vivo, mentre nel virtuale ‘frequentiamo’ solo i nostri simili, col risultato che non siamo capaci di parlare a chi ha idee diverse dalle nostre, che i toni si accendono e deflagrano in scontri ‘interni’, che il rumore e la volgarità tendono a farsi assordanti senza spostare di una virgola le opinioni ‘esterne’.
Sono fenomeni che notiamo anche nei piccoli gruppi. Spesso ci parliamo addosso, ci ringhiamo e ci aggrediamo, raramente ci preoccupiamo delle conseguenze delle nostre parole (pressoché nulle sul piano ‘politico’, devastanti su quello umano). Nello specifico degli ebrei italiani, questa dinamica non aiuta l’attività di informazione su Israele (‘Hasbarà’) e di contestazione dei pregiudizi negativi che lo circondano. Il web è una straordinaria opportunità in tutti i campi, ma può produrre un imbarbarimento che ci vede al tempo stesso vittime e carnefici.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter: @tobiazevi
(13 ottobre 2015)