Qui Ferrara – Trieste, Udine, il Friuli veneto
La lunga sfida dell’integrazione

FullSizeRender (3) È Trieste, la Trieste “diventata un mito”, come l’ha definita nel suo intervento la professoressa statunitense Lois Dubin, la protagonista della seconda giornata del convegno “Gli ebrei nella storia del Friuli-Venezia Giulia. Una vicenda di lunga durata” promosso dalla Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara in collaborazione con l’Università di Udine e l’Università degli Studi di Trieste, la Comunità ebraica e l’Associazione per lo studio dell’Ebraismo delle Venezie, e con il patrocinio dell’UCEI, della Comunità di Ferrara e del Comune, in corso nella città estense all’Istituto di Cultura ‘Casa Giorgio Cini’.
Come nel caso dello studio dell’ebraismo nel Friui veneto, a cui è stata dedicata la prima giornata di lavori, sono state analizzate tutte le vicende economiche, sociali e demografiche che hanno caratterizzato i nuclei ebraici della regione nel corso dei secoli.
Una panoramica che è possibile ottenere, ad esempio, attraverso l’analisi delle fonti notarili, come ha fatto Milena Maniago, ricercatrice all’Università di Udine, che ha studiato in particolare l’attività della famiglia dei Luzzatto a San Daniele del Friuli nel Seicento, diventati i banchieri della città stipulando una condotta con la Comunità. Un caso molto specifico, attraverso cui tuttavia è possibile rendersi conto come l’impresa-famiglia possa essere considerata “un microcosmo che può fungere da campione e paragone con altre realtà italiane”. Piccole comunità in cui una parte della storia ebraica si sviluppa attraverso quella di una sola famiglia. Una realtà complessa e sfaccettata, il cui ruolo economico – ha osservato Maniago – “va oltre la pura gestione del banco di prestito concordata con le autorità cittadine, con altre forme di credito e commercio”, svelata anche da testimonianze delle dinamiche interne al sistema famigliare come le unioni matrimoniali e le divisioni patrimoniali. Lo stesso ha sottolineato Miriam Davide, ricercatrice del’Università di Trieste, che ha descritto la vita economica e sociale degli ebrei fra medioevo ed età moderna. I lasciti testamentari destinati prevalentemente a figlie femmine e la gestione degli affari affidata alle donne, che erano veri e propri capifamiglia – ha sottolineato ad esempio – “sono scelte che dicono molto del ruolo della donna all’interno della Comunità triestina”.
Un altro fenomeno che può considerarsi rivelatore della vita sociale e della demografia delle Comunità ebraiche del Friuli-Venezia Giulia è quello delle conversioni, in particolare nel corso dell’Ottocento, un secolo che segnò l’emancipazione e l’integrazione degli ebrei nella società maggioritaria. Pier Cesare Ioly Zorattini, professore dell’Università di Udine e curatore scientifico del convegno, ha comparato la situazione di Gorizia con quella di Udine. Mentre nel primo caso i battesimi celebrati rappresentarono un fenomeno alquanto marginale rispetto alle dimensioni della Comunità ebraica, nel secondo la cifra non è irrilevante in considerazioni delle ridotte dimensioni del nucleo ebraico. Anche a Trieste, ha poi spiegato Tullia Catalan, ricercatrice presso l’Università degli studi locale, tra Ottocento e Novecento si è registrato un altissimo numero di abiure, non sempre però sfociate in conversioni a un’altra fede. L’ondata è legata a vari fattori, ha spiegato Ioly Zorattini, tra cui la scelta delle nuove generazioni di allontanarsi dalla Comunità ebraica ma anche l’azione della Chiesa e la sua “radicale intransigenza nei confronti delle altre minoranze religiose”. Forte era infatti il pregiudizio antiebraico, come si può riscontrare anche nell’iconografia del Friuli, che è stata analizzata dallo storico dell’arte Paolo Goi, che ha fatto notare come venissero espressi attraverso vari simboli ad esempio il contrasto tra la chiesa e la sinagoga e “l’accusa di deicidio, tra le altre cose attraverso rappresentazioni dello scorpione”, animale minaccioso per eccellenza.
Ad analizzare le manifestazioni di vero e proprio antisemitismo è stato poi anche l’intervento dell’insegnante e saggista Valerio Marchi, che ha parlato della situazione degli ebrei a Udine dalle guerre d’indipendenza alla persecuzione nazifascista. Un’analisi in cui le vicende della storia si intrecciano a quelle degli individui, ha sottolineato Marchi, che ha ad esempio citato il caso di Fabio Luzzatto, “che nel 1931 rifiutò di prestare giuramento di fedeltà al fascismo”, o di Felice Momigliano, che scriveva della sua forte identità italiana legata anche al fatto che il padre fu tra i primi a combattere per l’Unità.
Un evento che costrinse gli ebrei triestini a interrogarsi su cosa significasse essere ebrei una volta divenuti cittadini di uno Stato nazionale, come ha sottolineato la ricercatrice dell’Università di Bari Anna Millo nel suo intervento dedicato alla borghesia triestina ebraica tra Ottocento e Novecento, la cui funzione è stata fondamentale “sia da un punto di vista qualitativo per l’impulso allo sviluppo economico della regione, sia per il contributo in termini quantitativi”. Uno sviluppo che costituisce un caso unico nel porto franco degli Asburgo e nella moderna città portuale di Trieste, e secondo Millo il successo degli ebrei nel campo “non dipende tanto dal fatto di essere inseriti nella Comunità quanto dal livello d’integrazione straordinaio all’interno la società triestina”. Un cosmopolitismo che costituisce secondo Dubin il fattore per cui la città colpisce tanto profondamente chiunque si avvicini a studiarla, o in altre parole la risposta alla domanda “perché Trieste?”.

Francesca Matalon twitter @fmtalonmoked

(Nell’immagine: da sinistra Anna Millo, Livio Vasieri e Tullia Catalan)

(13 ottobre 2015)