Gerusalemme,
la barriera anti-attentati
La polizia israeliana ha posizionato nelle scorse una barriera di cemento tra il quartiere arabo di Jabal Mukaber e quello ebraico di Armon Hanatziv, a Gerusalemme. Un provvedimento temporaneo, spiegano le autorità, per isolare la zona da cui provengono la maggior parte dei terroristi che hanno colpito civili e soldati israeliani nell’escalation di violenza delle ultime settimane. Da Jabal Mukaber, riporta La Stampa, “sono passati almeno quattro terroristi che hanno causato due morti e 16 feriti”, da qui la decisione di creare blocco di polizia temporaneo: una linea di demarcazione virtuale, afferma Repubblica, che “si estende per circa 12 chilometri, dal quartiere di Beit Hanina nel nord, costeggia i bordi della Città Vecchia e arriva a Jabal Mukaber nel sud”. Sempre su Repubblica, la traduzione di un reportage del New York Times dedicato a Gerusalemme Est, definita come il “cuore emotivo della vita palestinese”.
L’attentato a Beersheva. Mentre a Gerusalemme i controlli sono sempre più stretti, ad essere colpita è stata ieri sera la città di Beersheva nel sud di Israele. Un terrorista è entrato nella stazione centrale e ha accoltellato un soldato, riuscendo a sottrargli il fucile automatico che ha poi puntato contro la folla. Due vittime e undici feriti, il drammatico bilancio dell’attentato a cui si aggiunge l’uccisione del terrorista. Tra le vittime, un ragazzo eritreo scambiato inizialmente per un terrorista. “Beer Sheva – scrive il Corriere della Sera, parlando della città nel Negev – ha sempre provato a essere un simbolo della coesistenza, lo ripete anche il sindaco in televisione dopo l’attentato: la metà degli abitanti nell’area metropolitana è araba musulmana, beduini che hanno la cittadinanza israeliana”.
Negoziati tra israeliani e palestinesi: Kerry ci riprova. Se non far ripartite subito i negoziati di pace, almeno fermare la violenza e gli attentati terroristici. È l’obiettivo che si è prefissato il segretario di Stato Usa John Kerry che incontrerà in settimana in Germania il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Come riporta La Stampa, Kerry nei giorni scorsi ha irritato il governo Netanyahu affermando che “lo stallo nei negoziati, e l’occupazione di Gerusalemme, sono fra gli elementi che hanno favorito le nuove violenze” per poi però sottolineare che gli Stati Uniti sostengono il diritto di Israele a difendersi. Dopo Netanyahu, Kerry si recherà in Medio Oriente per vedere Abu Mazen e il re giordano Abdullah.
La minaccia dell’Isis agli ebrei e a Roma. Il movimento islamista dell’Isis cerca di inserirsi nella nuova ondata di terrorismo che sta colpendo Israele e lancia in rete un nuovo video dal titolo “Messaggio ai Mujahideen di Gerusalemme, decapitate gli ebrei”. “Non mancano gli strali – scrive il Giornale – contro la Lega Araba, Abu Mazen e Hamas, ‘non in grado’ di difendere i palestinesi, secondo quanto affermato dai componenti dell’Isis”. E la minaccia del Califfato preoccupa anche il prefetto di Roma Franco Gabrielli in chiave Giubileo (che si aprirà il prossimo 8 dicembre): “ci sono più rischi rispetto a qualche anno fa”, ha dichiarato il prefetto affermando che “temiamo il terrorismo non l’invasione dei fedeli”(Repubblica). E di Isis parla anche lo storico francese Marc Ferro: “Gli occidentali non l’hanno visto arrivare – afferma in un’intervista a Repubblica lo storico, che perse la madre ad Auschwitz – una forma di cecità di fronte alla storia, anche la più recente. Perché già dalla rivoluzione iraniana era chiaro che l’integralismo islamico aveva un solo obiettivo: distruggere gli Stati-nazione per dominare il mondo”.
Il disinteresse per le sorti di Israele. Partendo dal caso dell’invito della Camera, poi ritirato, a un imam che incitava alla violenza contro Israele, il direttore del Foglio Claudio Cerasa riflette sul terrorismo palestinese e sulle risposte date dall’Occidente agli accoltellamenti e attacchi contro civili e soldati israeliani. “L’occidente – afferma Cerasa – descrive le lame dei palestinesi come se fossero ogni giorno meno affilate e tutto sommato giustificabili, di fronte a questi signori che non hanno altra colpa se non quella di essere ebrei”. Per il direttore del Foglio si tratta invece di un caso non più circoscritto al Medio Oriente ma di un esempio della violenza e del pericolo del radicalismo islamico che riguarda il mondo intero: “non capire oggi il dramma di Israele, e il suo oggettivo stato di assedio, significa non capire il dramma dell’occidente, e i rischi che si corrono ogni giorno nel rimandare nel tempo la nostra azione, militare e culturale, contro i fondamentalismi islamisti”.
Vita a Shatila. Sul Fatto Quotidiano il racconto della vita quotidiana a Shatila, il campo profughi palestinese in Libano che nell’82 fu teatro dell’eccidio per mano delle milizie cristiano-falangiste. Sempre il Fatto, in un altro articolo, descrive i palestinesi come il “popolo di profughi dal 1948 (e senza soluzione)”.
Colonia, sindaco la candidata aggredita. “La Germania dell’accoglienza e della solidarietà ai profughi ha vinto su quella del razzismo”, così la Stampa racconta la vittoria di Henriette Reker, che sabato è stata vittima di un’aggressione xenofoba perché responsabile delle politiche per l’integrazione, e nelle scorse ore è stata eletta sindaco di Colonia. A colpirla era stato un estremista di destra, ferendola gravemente ma “i medici sono convinti che il neo sindaco si riprenderà completamente”. In Svizzera invece trend elettorale a quello della città tedesca opposto con i populisti del partito Blocher che hanno conquistato alle elezioni un terzo dei seggi. La loro campagna è stata incentrata sul no all’immigrazione (Corriere della Sera).
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
(19 ottobre 2015)