Qui Bari – La Memoria e i mass media
Quei pericoli dietro l’angolo
Il cappotto rosso di Schindler’s list, o ancora il sorriso di Anna Frank. Sono tante le immagini e le storie legate alla Shoah che sono entrate ormai nella cultura mainstream e attraverso la simbolicità che hanno acquisito, in prevalenza in seguito alla loro massiccia diffusione sui canali di informazione di massa e all’istituzionalizzazione di occasioni dedicate al ricordo, costituiscono un costante imperativo alla Memoria e un nesso diventato quasi inscindibile tra Storia e coscienza civile. L’indagine delle dinamiche che caratterizzano tali fenomeni è stata al centro del corso di storia e didattica della Shoah intitolato “Popshoah? Immaginari e pratiche collettive intorno all’uso pubblico della memoria dello sterminio degli ebrei d’Europa” organizzato presso l’Università di Bari Aldo Moro da Francesca Recchia Luciani, docente dell’Università pugliese, e da Claudio Vercelli, professore all’Istituto Salvemini di Torino.
Nell’affermare tale forte legame tra sua conoscenza e coscienza civile, “l’attenzione intorno alla Shoah ha alimentato un vero e proprio indotto culturale, composto di linguaggi, simbolismi, raffigurazioni e retoriche” spiegano gli organizzatori, la cui attività è stata inserita nel fitto programma proposto in questi giorni in molte aule italiane dalla Rete Universitaria per il Giorno della Memoria. Essi riguardano cinema e letteratura, talk show televisivi e studi accademici, ma ne fa parte anche la topografia della Shoah: lo ha raccontato la storica dell’arte Elena Pirazzoli. Bruno Maida dell’Università di Torino ha invece analizzato le dinamiche dei viaggi della Memoria.
Come è stato ricordato, la memoria dello sterminio è divenuta, per molti, e in particolare per la cosiddetta terza generazione, lontana oramai diversi decenni da quei fatti e che ne è toccata in occasioni che oscillano tra il pubblico e il privato, “una sorta di elemento costitutivo della cittadinanza democratica, definendo la linea di divisione tra civiltà e barbarie, e si è così costituito un immaginario che scavalca il dato storico, per offrirsi come un complesso, articolato e stratificato insieme di imperativi, ritenuti insindacabili poiché basati sulla frontiere tra ciò che è parte dell’umanità e quanto, invece, nega il diritto all’esistenza dell’umano”. Un processo iniziato verso la fine degli anni Settanta, in un costante crescendo, e poi a seguire con l’istituzionalizzazione del Giorno della Memoria, trasformando la Shoah da concreto fatto storico nell’oggetto di una pluralità di approcci e di una molteplicità di sensibilità spesso slegate dalla materialità degli avvenimenti ai quali essi, invece, affermano di richiamarsi. Una sorta di paradigma e di metafora del male e dell’ingiustizia. Un percorso culturale e politico, che ha comportato tra le altre cose anche la nascita di saperi specialistici e di una didattica, o “non-didattica” come ha sottolineato ad esempio Antonio Brusa, che insegna proprio la materia all’Università di Bari.
In questo delicato processo di rielaborazione e identificazione, che ha appunto coinvolto perlopiù quanti non sono stati vittime di quella tragedia, il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa è stato fondamentale nello stabilire narrazioni, grammatiche e stilemi espressivi. “La memoria della Shoah, come campo di significati apparentemente non negoziabili – spiegano gli organizzatori – diventa quindi anche una sorta di bacino di aspettative e di supplenze etiche che fuoriescono dalla mera fattualità storica, per rivelarsi nella loro natura di manufatto culturale e civile” o per dirla con le parole di Recchia Luciani, “un oggetto culturale fra mediazione e consumo”. E così il termine “pop” si è insinuato in moltissimi degli interventi del convegno, come quello di Claudio Gaetani, docente di linguaggio cinematografico all’Università di Macerata, intitolato “Riconosco ergo Pop”, o quello del ricercatore di storia contemporanea Damiano Garofalo che ha inserito anche quel cappottino di Schindler’s List nell’immaginario della cultura pop, o della pedagoga della Memoria Fiorenza Loiacono che ha analizzato il processo di trasformazione di Anne Frank da adolescente morta precocemente a simbolo pop. Tra i relatori anche Guri Schwarz, dell’Università di Pisa, che ha parlato di “Shoah come paradigma: memorie multidirezionali, metafore e paragoni (im)possibili”, e la libraia e antiquaria romana Raffaella Di Castro (“La Shoah tra pubblico e privato nelle memorie di terza generazione”).
“L’universo mediatico – mettono in guardia gli organizzatori – qualora lasciato alle sue logiche autoreferenziate, rischia di trasformare il diritto alla memoria in un fenomeno che si spinge alle soglie di una sorta di spettacolarizzazione collettiva, dove all’inflazione di rimandi si può accompagnare la banalizzazione, la decontestualizzazione fino alla stessa falsificazione storica operata dal negazionismo”. La questione del modo in cui si ricorda va quindi ricondotta non solo al merito di ciò che è ricordato ma “ai criteri con i quali lo si fa e, soprattutto, ai mezzi che si utilizzano per trasmettere la coscienza storica e morale di un passato tanto indiscutibile e imprescindibile quanto terreno per potenziali manipolazioni”.
(19 ottobre 2015)