Qui Torino – Memoria a teatro
Kamp, un silenzio assordante

22109372599_4f17f44161_zAlle Fonderie Limone di Moncalieri è andato in scena Kamp, spettacolo teatrale che rappresenta in forma artistica – in modo particolarmente coinvolgente – gli orrori del campo di concentramento di Auschwitz. Ad occupare lo spazio un grande plastico, costituito da baracche, vagoni del treno, filo spinato. Al fondo compare invece la scritta “Arbeit macht frei”. La performance è stata ideata e messa in scena da Herman Helle, Pauline Kalker e Arlène Hoornweg. Lo spunto iniziale è la vicenda familiare della stessa Pauline Kalker, il cui nonno è morto proprio ad Auschwitz.
Ciò che inizialmente viene scambiato per la sola scenografia, nel giro di pochi istanti prende vita: più di 3000 puppet di 8 centimetri, legati da fili vengono mossi da tre attori in carne e ossa che si spostano nello spazio e riproducono con una sequenza di movimenti l’agghiacciante routine degli internati. Dal loro arrivo sui vagoni del treno alla spoliazione di beni e vestiti. Dall’ingresso nelle docce ai forni crematori. Gradualmente l’unica presenza umana in scena si riduce ad asettiche ‘macchine scenografiche’ che muovono le piccole marionette con indosso un vestito a strisce e il volto dai connotati stravolti. Ogni singolo gesto viene ripreso da una piccola telecamera e riprodotto su uno schermo. Solo così lo spettatore riesce ad avvicinasi virtualmente al plastico e a scorgere i dettagli della tragedia: entra nelle baracche, nelle camere a gas, nei forni crematori.
Ad accompagnare l’intera performance sono rumori sordidi e profondi silenzi. La parola è bandita. Solo il suono grottesco della marcia di Radetzky invade a più riprese la scena. L’udito sovrasta la vista. Lo spettatore si trova inchiodato alla sedia, immerso più che mai nella rappresentazione.
Lo spettacolo si chiude con la ripresa dell’interno di una baracca: è notte, i puppet sembrano dormire, il suono dei loro respiri invade lo spazio, ma sono respiri affannosi, carichi di angoscia che neanche il sonno può placare.
Kamp è teatro, è arte che si mischia alla storia, ma non per questo viene meno la sua capacità evocativa. Più che qualsiasi altro documentario, questo spettacolo è riuscito a rievocare i suoni e i rumori più profondi e intimi.
Le luci si accendono. Lo spettacolo è finito. Parte un applauso, ma non è un applauso liberatorio, è un applauso glaciale, in accordo con la performance stessa.

Alice Fubini

(19 ottobre 2015)