Diari salvati, diari sommersi
“Anche le opere diaristiche più estese non riescono ad eguagliare la mole dei diari ancora inediti del professor Diego De Henriquez. Il corpus del suo lavoro è valutabile in 300 volumi per un totale di circa 50mila pagine. A questo va aggiunto il suo archivio, composto approssimativamente da un milione di schede”.
I mitici diari di Diego De Henriquez trattano prevalentemente di ogni cosa abbia a che fare con il concetto di ‘difesa’, dai microorganismi agli esseri umani. Ampi spazi sono dedicati alla raccolta di graffiti da lui rinvenuti nelle latrine di tutta Europa, tanto da formarne una sorta di almanacco dell’erotismo popolare. Si tratta di un corpus immenso che quantomeno sotto il profilo quantitativo non ha confronti con altri modelli della letteratura europea, e di una combinazione con elementi di conoscenza scientifica e di introspezione psicologica e parapsicologica. Le sue ricerche portano all’esplorazione di una quarta dimensione. Gli esperimenti diaristici di De Henriquez possiedono così una dimensione magica e rendono visibile il confine, ma in effetti non hanno nulla a che vedere con un’interpretazione mistica…”. Così Gustav René Hocke nel suo leggendario studio enciclopedico Europaeische Tagebuecher aus vier Jahrhunderten (Quattro secoli di diaristica europea), redatto in Roma e pubblicato a Wiesbaden nel 1963. Per la prima volta, e mentre ancora il suo autore era alacremente all’opera, veniva alla luce l’oceanica raccolta di diari di cui tanto si sarebbe parlato negli anni seguenti e che secondo alcuni sarebbe costata infine la vita allo stesso De Henriquez.
Hocke (1908-1985), la cui immensa e affascinante opera (uno studio di circa 1200 pagine corredato da migliaia di note e dall’analisi del lavoro di centinaia di diaristi, da Cristoforo Colombo alla regina Vittoria a Gottfried Benn) sarebbe stata accolta dagli addetti ai lavori come “una fortezza della conoscenza letteraria”, era a sua volta un personaggio molto originale. Oppositore segreto di Hitler, amico di una generazione di comunisti tedeschi come Alfred Andersch e Hans Werner Richter, corrispondente di guerra e grande firma dei quotidiani tedeschi del dopoguerra dall’Italia, è oggi considerato soprattutto un grande esperto di diaristica e di cultura letteraria del manierismo. Ma la sua prima analisi dei diari che De Henriquez andava componendo in una Trieste da non molto liberata dagli orrori del dominio nazifascista, e da poco tornata all’Italia dopo il decennio di amministrazione militare angloamericana, costituiscono un elemento essenziale per comprendere l’enigmatica figura di un personaggio che allora era considerato da molti con sospetto e con fastidio. Ma De Henriquez, l’ombra che ha suscitato l’avvio del grande percorso letterario di Claudio Magris in Non luogo a procedere, il documentarista che aveva cercato di mettere in salvo le segnalazioni e le testimonianze dei perseguitati e dei deportati che fra le mura della Risiera di San Sabba attendevano la morte, che aveva probabilmente trovato tracce sicure dell’opera di delazione operata in città per favorire le orrende azioni dei tedeschi e dei fascisti loro complici, chi era realmente?
Hocke ne traccia profeticamente la figura di un documentarista ossessivo e di un cronista dettagliato che osserva e descrive la realtà, le violenze, le prevaricazioni, le passioni oscure, come se non ne facesse parte. Immediatamente dopo la guerra, vicino al forno crematorio della Risiera fatto saltare precipitosamente in aria dai tedeschi prima della ritirata, De Henriquez si era tuffato nell’opera di documentazione dei messaggi graffiti sui muri dai deportati.
“L’avevano lasciato prendere i suoi appunti – racconta in un’intervista la moglie dopo la misteriosa morte del professore – perché i responsabili del tempo, il governo militare alleato di Trieste, vedeva in lui uno studioso. Poi però qualcuno ci deve avere ripensato. Doveva essere la fine di luglio o i primi giorni di agosto 1945, mio marito è rimasto nella Risiera tre giorni di seguito. Lavorava anche di notte a lume di candela. Si concedeva soltanto pochi momenti di riposo per dormire. E non posso dimenticare il suo rammarico, la sua delusione quando è tornato a casa dopo tre giorni. Adele, mi ha detto, hanno cancellato tutto quello che era scritto sui muri. Quando mi sono svegliato stamani ho trovato una squadra di imbianchini che ha ricoperto tutto con strati di calce. Non ho potuto portare a termine il mio lavoro. Chi lo sa perché lo hanno fatto”. Hocke fissa anche una misura della produzione diaristica utile a dimostrare che oggi altri conti non tornano. Dopo l’incendio certamente doloso in cui De Henriquez trovò la morte e parte della sua immensa collezione di oggetti e documenti fu fatta sparire, i diari rimasti a disposizione prima della magistratura inquirente (che ha tentato di usarli per fare luce anche sul caso della Risiera e su alcuni episodi oscuri della nostra storia recente, come la strage di Peteano) e ora dei Civici musei triestini sono in numero minore di quelli citati dallo studioso tedesco. Alcuni quaderni mancano all’appello. E c’è chi crede fermamente che in quello spazio rimasto vuoto sugli scaffali degli archivi sarebbe stato possibile trovare elementi di prova riguardo alla delazione e alla deportazione degli ebrei che non fecero mai ritorno.
g.v.
Pagine Ebraiche, novembre 2015
Nell’immagine uno dei diari di Diego De Henriquez
(25 ottobre 2015)