Un libro, tre ombre da ritrovare

magris albertiniElody Oblath Stuparich, Enrico Rocca, Ercole Miani. Nei suoi scritti recenti e nei suoi interventi pubblici Claudio Magris dissemina i ragionamenti e i racconti di citazioni, di esempi, di frammenti della vita di personaggi straordinari, ma ancora poco conosciuti al grande pubblico che legge i suoi libri. Di fronte ai richiami che distribuisce con elegante moderazione c’è chi raccoglie, ma molti altri restano interdetti e in omaggio al perbenismo culturale italiano non hanno nemmeno il coraggio di confessarlo.
Ecco una piccola guida per cominciare a districarsi fra i punti di riferimento che lo scrittore lascia lungo il nostro itinerario. E per cominciare una autentica ricerca.
Elody Oblath fu amica della prima voce dell’irredentismo triestino Scipio Slataper, autore di Il mio Carso, e sposò Giani Stuparich. La sua forte identità ebraica, il suo determinato rivendicare un destino libero e autonomo per il mondo femminile e i documenti scritti ne fanno una testimone capace di immenso valore letterario che visse troppo presto per il suo tempo e mise in luce l’esaltazione collettiva dei giovani intellettuali a favore della guerra. Un carattere nomade, dotato di forte aspirazione alla libertà, di combattivo amore per la natura contrapposto al conformismo imperante. “Essere nessuno e non avere più nulla” invocò, deportata alla Risiera di San Sabba, in una poesia del 1944.
Enrico Rocca fu un intellettuale giuliano, geniale germanista, scrittore, giornalista, cui Magris riconosce il merito di aver aperto in maniera del tutto originale la strada degli studi sulla letteratura mitteleuropea. Dotato di un intuito e di una comunicativa brillanti, finì suicida nel pieno delle persecuzioni segnando un destino parallelo a quello di Walter Benjamin. “Il fascismo – scrisse Rocca – ha rifatto gli italiani peggiorandoli in modo disastroso, e dal nazionalismo scaturito dal primo conflitto mondiale appare la nemesi di quella colpa inconsapevole e generosa, generatrice di conseguenze che d’altronde non si potevano prevedere: in quel ’14 lontano, noi giovani gettammo certo una causa nel mondo di cui vediamo gli ultimi, amarissimi effetti”. “Anni di tragedia anche interiore – commenta Magris – perché è tragico dover augurarsi la sconfitta della patria. Tragica è la morte di Rocca che si suicida il 20 luglio 1944. In quella tragicità e nella coraggiosa chiarezza con cui egli la affronta, pure in un percorso così contraddittorio, c’è un grande amore per l’Italia e c’è il germe di un nuovo patriottismo che ritrovi le origini mazziniane e risorgimentali, inverandole in una modernità europea. Un’esigenza, tutt’ora purtroppo insoddisfatta e dunque tanto più viva, di andare oltre la morte della patria”.
Ercole Miani, decorato con quattro medaglie al valor militare nella Prima guerra mondiale, legionario fiumano con D’Annunzio, leader della Resistenza in Giustizia e Libertà, torturato atrocemente dalle bande fasciste e guida della liberazione di Trieste. “Fu – ricorda Magris – una figura eccezionale per l’amore di libertà e per le incredibili battaglie combattute per la stessa, per il patriottismo avverso ad ogni nazionalismo e aperto al più fraterno dialogo democratico; per l’incredibile coraggio con cui ha affrontato prove terribili in guerra. L’ho conosciuto fugacemente, tramite mio padre, e penso spesso a lui, sentendomi piccolo dinanzi a ciò che egli ha fatto per tutti noi e al modo in cui l’ha fatto”.

Il disegno è di Giorgio Albertini

Pagine Ebraiche, novembre 2015

(25 ottobre 2015)