A cinquant’anni da Nostra Aetate,
si rinnova la sfida del dialogo
Cosa è cambiato cinquanta anni dopo l’emanazione di Nostra Aetate, il documento che ha segnato l’apertura della Chiesa nei confronti dell’ebraismo e delle altre fedi? Quali i risultati raggiunti, quanta la strada già fatta e quanta ancora da percorrere? Questo lo spirito con il quale si è aperto ieri il convegno di tre giorni organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana che vede il confronto tra i protagonisti che da anni sono in prima linea per favorire il dialogo interreligioso. A partecipare alla tre giorni, tra gli altri, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. In queste ore invece a intervenire è stato il rabbino David Rosen, direttore internazionale per i Rapporti Interreligiosi dell’American Jewish Committee, protagonista di una tavola rotonda dedicata al rapporto tra la ricerca della pace e la religione assieme ad Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia, e don Rocco D’Ambrosio.
Prendendo la parola, il rabbino Rosen ha spiegato: “Quella di Nostra Aetate è stata una vera e propria rivoluzione copernicana che ha ribaltato il modo della Chiesa di rapportarsi con gli ebrei, aprendo la strada per il Dialogo. Dobbiamo però ammettere che il percorso davanti a noi è ancora lungo. Oggi sono qui per parlare di una realtà scandalosa ovvero quella che vede le religioni, i primi strumenti che dovrebbero favorire la pace, paradossalmente come parte del problema dell’assenza della pace stessa. I saggi del Talmud hanno spiegato come la Torah, che è fonte di vita, interpretata nel modo sbagliato può diventare una pozione velenosa”.
“La religione – ha sottolineato rav Rosen – è un elemento importante perché permette all’uomo di trovare un proprio senso di appartenenza ma, quando in una società c’è un certo grado di alienazione e isolamento, può diventare un veicolo per scardinare gli altri. Chi non si sente a suo agio in un contesto più esteso tende infatti ad usare la propria appartenenza religiosa per denigrare l’altro; c’è addirittura chi crede che si debba usare violenza per arginare altra violenza mentre, come dicono i rabbini: il vero eroe è colui che trasforma un nemico in amico. Abramo è il simbolo dell’accoglienza; quando tre uomini apparvero davanti alla sua tenda li accolse senza chiedere la loro provenienza. Essi si rivelarono essere dei messi divini, ma la verità è che Abramo riusciva comunque a scorgere del divino in ciascun essere umano”. “Come ci insegna Nostra Aetate – ha concluso il rabbino – la pace arriverà solo quando tratteremo il prossimo come un fratello e riconosceremo la legittimità dell’altro: questa è la nostra responsabilità globale”.
A una domanda provocatoria del pubblico in cui si chiedeva se “lo scandalo non sia la difficoltà per arrivare a Betlemme da Gerusalemme viste le misure di sicurezza israeliane”, il rabbino Rosen risponde: “Le voglio spiegare una cosa, e con questo non voglio minimizzare la condizione palestinese: non dobbiamo dimenticarci che raggiungere Betlemme è diventato difficoltoso dopo la Seconda Intifada. Raggiungere Betlemme è diventato difficile dopo che bambini, donne e uomini sono stati uccisi da attentati esplosivi su autobus o dentro ristoranti per mano dei terroristi. Allora forse il vero scandalo è la violenza. Lo scandalo si supera quando avviene il riconoscimento, quando non c’è prevaricazione, non distinguendo buoni o cattivi ma fermando il conflitto”.
A prendere la parola è poi Abdellah Redouane: “Islam e Salaam significano pace, sono due sostantivi che indicano salvezza, sicurezza e tranquillità. Il profeta Maometto ha identificato il musulmano come quella persona della quale non bisogna avere nulla da temere, l’Islam ha nobilitato l’uomo e lo ha posto sulla terra per fare del bene. Lo scopo della nostra religione è vivere in pace e nessuno è un vero credente se non desidera per il fratello quello che desidera per se stesso. La pace non può essere un’utopia ed essa non è possibile fino a quanto i diritti di una parte negheranno i diritti all’altra parte e questo vale anche per il Medio Oriente, per questo auspico una ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi il prima possibile. Dobbiamo ritrovare lo spirito con cui 50 anni fa su stesa Nostra Aetate”. Dopo gli interventi del rettore dell’università François-Xavier Dumortier, del Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso Miguel Ángel Ayuso Guixot, del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani Kurt Koch, del Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso Jean-Louis Tauran, del reverendo Paul Gilbert e della professoressa Bruna Costacurta, la giornata è poi proseguita con Alberto Quattrucci (Uomini e Religioni-Comunità di Sant’Egidio), il professore Wimalaratana (Bellanwila Rajamaha Viharaya – Sri Lanka), gli interventi sulla libertà religiosa di Christian Rutishauser (Consultore Permanente della Santa Sede per le relazioni religiose con gli Ebrei) e Rav Daniel Sperber (Bar-Ilan University, Israele), Rasoul Rasoulipour (Facoltà di Lettere e Scienze Umane – Kharazmi UniversityIran) e Swami Chidananda (FOWAI Forum – India). La giornata di domani vedrà infine, dopo l’udienza dal papa Bergoglio, un confronto sull’educazione e i valori da trasmettere tra Gurmohan Singh Walia (Sri Guru Granth Sahib World University-India), la dott.ssa Nayla Tabbara (ADYAN-Libano), il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e Samani Pratibha Pragya (Jain Vishwa Bharati – Regno Unito) moderati da Bryan Lobo e la conclusione del Segretario di Stato del papa Pietro Parolin.
(27 ottobre 2015)