La fine del mondo
Boualem Sansal è uno scrittore algerino, autore di 2084: La fin du monde – pubblicato quest’anno da Gallimard e ancora inedito in Italia -, il titolo è già di per sé evocativo, ricorda 1984 la celebre opera di George Orwell, e difatti la tematica, da quanto se ne deduce dall’Espresso, s’incentra su un futuro distopico dominato da un regime totalitario e teocratico, l’Abistan. Il riferimento, confrontando anche la biografia di Sansal, è naturalmente all’Islam, e da qui ritorna in mente anche Soumission di Michel Houellebecq.
Inutile discettare su un libro ancora inesistente sul nostro mercato editoriale, però è impossibile non notare come una sorta di filone letterario islamofobico – dove “phobos” più che nella sua accezione moderna di ‘discriminazione’, sta proprio per ‘paura, panico’ – sia sempre più in voga, non solo nella saggistica ma anche nella narrativa. La tesi di fondo è sempre il declino e la fine imminente della civiltà europea e dei suoi valori, costretta a soggiacere a un’Islam forte e sottovalutato da una maggioranza dormiente, dove fa eco il motto “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo, grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo” (la fonte è ignota). Il noto pericolo eurabico così come paventato da Bat Ye’Or e Oriana Fallaci, e nelle sue plurime variazioni da Eric Zammour fino a Imre Kertesz. Certo, una tendenza letteraria o intellettualistica potrebbe essere frutto soltanto di speculazione, di timori inconsci o verosimilmente di strumentalizzazioni politiche e non di una reale minaccia. Il cinema anglo-americano dei nostri giorni trabocca di apocalissi Zombie e di cospirazioni, e ciò non significa naturalmente che il fine dei produttori e dei registi sia aprire i nostri occhi a un domani con dei morti viventi sotto casa, o a delle dietrologie le quali non siamo in grado di scorgere… ma esso delinea comunque una moda, una disposizione da parte del pubblico, o piuttosto uno “spirito del nostro tempo”, quello che in tedesco prende il nome di “Zeitgeist”. Per quanto allora in gran parte, le tesi eurabiche siano frutto di allarmismi, di stigmatizzazioni, di timori per il momento ingiustificati, sono ormai una realtà sociale e politica consolidata, una linea di pensiero che sta prendendo continuamente piede non solo tra i partiti xenofobi, con cui è quindi necessario fare i conti, affrontare tramite un approccio filosofico e soprattutto antropologico. Non è possibile negare o sottovalutare la deriva islamica radicale o l’inclinazione omologante e universalizzante di un nuovo Islam “globale” che difficilmente si discosta dalle frange integraliste, così come non potrà tardare un vero confronto tra la cultura musulmana e la civiltà occidentale, anche considerando gli ultimi esodi, che portano con sé il problema dell’integrazione e di un eventuale marginalizzazione/radicalizzazione. Ma la risposta a questo fenomeno non può essere quella dell’islamofobia, proprio perché carente di prospettive e fondata sulla paura a priori dell’altro, e neanche quella opposta di un certo tipo di relativismo e del terzomondismo, che è ugualmente insidiosa e come la prima, non porta a un confronto o a una comprensione oggettiva, e quindi a una risoluzione. Non si tratta altro che della ricerca di un “tertium non datur”, quella terza via indispensabile, che al giorno d’oggi è assente in qualunque tipo di dibattito cedendo il posto alle uniche due fazioni come in una partita di calcio.
Francesco Moises Bassano
(30 ottobre 2015)