Qui Roma – “Dialogo, non accontentiamoci”
Sono passati cinquant’anni da Nostra Aetate, la dichiarazione vaticana che segnò l’apertura della Chiesa cattolica nei confronti delle diverse fedi. Ne sono passati 800 dal Concilio Lateranense IV, nel quale vennero formalizzate le misure riguardanti gli ebrei che porteranno all’isolamento e a secoli di sofferenza.
Nel solco di questi avvenimenti la Pontificia Università Lateranense ha voluto organizzare un momento di incontro con protagonista l’ex ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechay Lewy, affiancato dai docenti dell’ateneo Michael Maier e Achim Buckenmaier.
A fare gli onori di casa e accogliere i presenti, tra cui il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, il pro-rettore Renzo Gerardi, che ha sottolineato come “faccia una certa impressione voltarsi indietro e osservare questo lungo cammino non privo di momenti oscuri ma che è riuscito a portare al punto in cui siamo oggi”.
All’ambasciatore Lewy è stato poi dato il compito di riassumere per massimi capi il rapporto tra cristiani ed ebrei negli ultimi 800 anni, a partire dalla figura di papa Innocenzo III, animatore del Concilio Lateranense IV. Innocenzo III, considerato colui che plasmò la Chiesa come potere accentratore, è stato ricordato, “espresse più volte la sua posizione intransigente verso gli ebrei, come dimostrano le lettere nelle quali minacciava, per esempio, di scomunicare il conte di Nevers per averli protetti”. La seconda parte dell’intervento si è invece concentrata sul Concilio Vaticano II e di conseguenza sull’emanazione di Nostra Aetate. Un ruolo chiave in questo percorso – ha riconosciuto Lewy – è da attribuire al cardinale Augustin Bea, a papa Roncalli e a Jules Isaac, storico di religione ebraica che perse durante la Shoah la moglie e la figlia. La strada per arrivare a Nostra Aetate, sottolinea il diplomatico, fu però molto accidentata, segnata da non pochi passi falsi e tentennamenti. Gustoso l’aneddoto riportato ai presenti: “Si dice di Martin Buber – ha infatti raccontato Lewy – che nell’ambito di un incontro interreligioso egli osservò che sia gli ebrei che i cristiani erano in attesa del Messia. Per i cristiani è già venuto una volta. Per gli ebrei non ancora. Buber suggerì ai suoi amici cristiani di aspettare entrambi insieme e pretese che, quando e se il Messia fosse arrivato, nessuno gli avrebbe chiesto se fosse venuto per la prima o per la seconda volta”.
Un dialogo quindi proiettato al futuro. Come ha rilevato anche Buckenmaier con chiare parole. “Fin da subito – il suo intervento – Nostra Aetate è stata percepita per la sua rilevanza. Il lavoro da fare è però ancora lungo. I vecchi pregiudizi antisemiti sono duri a morire e molta strada è ancora da percorrere”.
r.s twitter @rsilveramoked
(10 novembre 2015)