A Cuneo, nel nome di Davide

Schermata 11-2457339 alle 13.39.03Rinasce oggi a Cuneo la biblioteca di Barbamadiu: in memoria di suo fratello Davide, lo studioso Alberto Cavaglion ha iniziato a raccogliere, libro dopo libro, documenti e materiali sulla civiltà ebraico-piemontese, quella civiltà che Primo Levi definiva il mondo di Argon. Perché, come racconta in questo testo, in Piemonte il termine ‘Scola’ va ben oltre il significato di luogo di culto. L’obiettivo è quello di “riavvicinare il dentro al fuori, il ghetto alla libertà, la clausura forzata in contrada Mondovì e l’itinerario stretto, via Chiusa Pesio, che conduce verso l’uguaglianza”. Alberto Cavaglion ha ricordato questa emozionante impresa anche sul nostro notiziario quotidiano, nella rubrica rubrica settimanale Ticketless: “Per il viaggiatore di Ticketless – ha scritto – è un giorno di vacanza. Il lettore mi perdoni. Scendo dal treno e mi fermo a guardare insieme a tanti amici tanti libri allineati negli scaffali di una scola ebraica antica.”
Due gli appuntamenti specificamente dedicati all’interno della rassegna Scrittorincittà. Questo pomeriggio alle 16.30, nella sinagoga di Cuneo, un incontro coordinato dal direttore della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale. Domenica alle 11, presso il centro incontri, è invece in programma un dialogo tra Cavaglion e il biblista Piero Stefani.

L’idea di una biblioteca sugli ebrei in Piemonte, da istituire a Cuneo, mi è venuta durante la malattia di mio fratello Davide. Per non lasciarmi travolgere dalla malinconia, altro rifugio non sono stato capace di trovare se non rovistando nella scatola di ricordi lontani. Quando eravamo molto piccoli nostro padre era prodigo di racconti resistenziali: Galimberti, Livio Bianco, Madonna del Colletto, ma un giorno volle mostrarci una cosa strana e perciò decise d’infilare la strettissima via Chiusa Pesio, partendo dalla vetrina del negozio di Gritti in via Roma, dove i nostri avi “mercatarono”, fino al 1923, dentro una bottega che ancora oggi reca sul frontale una Madonna dipinta su ceramica. L’opera, non per caso, era denominata dalla vox populi – nessuno lo ricorda più – la “Madona dl’Ebreu”.
Via Chiusa Pesio è così stretta che due passanti, se s’incrociano, per non fare la fine di fra Cristoforo, è meglio decidano anzitempo chi ha l’obbligo di lasciare il passo.
Sul lato sinistro, si può ancora osservare una torre antica, maestosa ancorché malconcia. Quasi in cima, una sopra l’altra, si scorgono due palle di cannone, una più grande, una più piccola, identiche a quella che siamo abituati a vedere conficcata nella sinagoga di Cuneo.
Schermata 11-2457339 alle 12.59.32Tre palle di cannone, una sola memoria di un assedio: l’ultimo, il settimo e tremendo del 1799, svoltosi alle porte dell’inverno. 5 Kislev 5560, data ebraica. Sotto il fuoco austro-russo, la città difesa dai francesi visse giornate durissime. Le tre palle di ghisa caddero ai piedi della torre e nel vestibolo del tempio, durante la preghiera serale di Arvit, senza causare danni né all’edificio né ai fedeli. Venne poi murata come le due di via Chiusa Pesio. Da quel giorno – con particolare solennità nel ventennale del 1819, in piena Restaurazione, e poi in occasione del centenario nel 1899, nell’euforia dell’emancipazione e del benessere – la ricorrenza venne celebrata con un’apposita festività: il Purim della Bomba, immortalata in versi non eccelsi da alcuni rabbini del tempo, soprattutto nei minimi dettagli riassunta da un rustico disegno, che si è tramandato e che oggi diremmo una graphic novel.
In linea d’aria la torre di via Chiusa Pesio e la sinagoga distano circa cento metri; seguendo sul disegno la traiettoria delle palle infuocate scagliate contro la città dai nemici si capisce come siano andate le cose e la lezione che se ne deve trarre e che va oltre gli ideali della Rivoluzione napoleonica e la ventata di libertà che i francesi portarono agli ebrei. Le guerre non amano le diversità religiose: le bombe disintegrano i tetti delle case e dei luoghi di culto, ma attenuano il “noi” e il “loro”. Uguali, negli assedi della vita, sono le vittime di ogni sofferenza. Ciò vale per le guerre settecentesche del Barone Leutrum come per la seconda guerra mondiale.
Dal filo invisibile, ma fratellevole, che unisce le tre bombe è partita l’idea di fare dono alla città di una biblioteca, per onorare la memoria di Davide e per testimoniare il debito di gratitudine verso la cittadinanza.
Del valore salvifico dei libri pochi si ricordano, eppure è assai noto come il solo ricordo di una lettura possa alleviare il dolore nelle circostanze estreme. La biblioteca della comunità ebraica di Cuneo non esisteva da decenni. Chi dice di appartenere al Popolo del Libro talvolta dimentica una norma non scritta, ma fondamentale. Non è una comunità degna di questo nome quella che si dà appuntamento in un luogo spoglio di libri. L’ultimo grande collezionista di libri ebraici a Cuneo è stato il caragliese Amadio Momigliano, Barbamadiu, (1844-1924), mercante di granaglie, che trasformò la sua casa in una yeshiva. Non ebbe figli, ma amministrò da patriarca una famiglia allargata di fratelli, cognati, nipoti, tra cui Riccardo e Ilda, genitori di Arnaldo Momigliano, deportati da Nizza nel 1943. Buone ragioni per meritarsi, secondo le consuetudini del luogo, la incisione, sul suo nome, del titolo onorifico di “zio”: Barbamadiu (la –u finale è d’obbligo, come ciau invece di ciao). Si racconta che un giorno cinque robusti ragazzi occitani, scesi da Castelmagno, andarono a chiedergli come si possa diventare ebrei. Erano in lite con il parroco, che aveva vietato il ballo in piazza ritenuto troppo lascivo: “Una cosa da lasciare ai giudei”. Per tornare a divertirsi avevano escogitato un rimedio che fosse insieme una vendetta. Si diceva in giro che l’ebreo Momigliano valesse quanto un ve- scovo e così andarono da lui. Desideravano farsi giudei. Barbamadiu non ebbe difficoltà a comprendere e si recò dal vescovo di Cuneo per risolvere pacificamente la questione, restituendo i parrocchiani alla loro chiesa. Come tutte le persone geniali non ha lasciato opere scritte, nemmeno brevi, non un commento, non un discorso pubblico. Solo buone azioni verso il prossimo, e un amore infinito per i libri. Raccolse una immensa biblioteca andata dispersa durante la seconda guerra mondiale. Penso sia giunta l’ora di far rifiorire la biblioteca di Barbamadiu.
Cercherò di offrire, libro dopo libro, documenti e materiali intorno alla civiltà ebraico-piemontese, nelle sue diverse forme – artistiche, letterarie, musicali, etico-filosofiche. Quella civiltà che Primo Levi definiva il mondo di “Argon”. In Piemonte, il termine “scola” va ben oltre il significato di luogo di culto, ma rinvia a un più ampio luogo d’incontro. Levi in quel racconto dice: “La sinagoga, con orgogliosa modestia, veniva detta semplicemente ‘scola’, il luogo dove si impara e si viene educati”.
Intendo allineare negli stessi scaffali le opere di Arnaldo e Attilio Momigliano, Piero Treves, Arturo C. Jemolo (un Momigliano, per parte materna), Rinaldo De Benedetti (Didimo), Rita Levi Montalcini, Benvenuto Terracini, Vittorio Dan Segre, Vittorio Foa e tanti altri personaggi del mondo della scienza e delle arti. Chissà che uno dei libri conservati nella Biblioteca “Davide Cavaglion” non possa aiutare i discendenti di quei ragazzoni di Castelmagno a vincere il pregiudizio: leggere libri fa bene alla salute quanto ballare. Una cosa non esclude l’altra, entrambe aiutano a tenere lontano le bombe dai bastioni cittadini, che preferisco rivedere, sgombro di cannoni nello sfondo di una fotografia, che ritrae, potremmo dire, una Madona dl’Ebreu scrittrice: Carolina Invernizio, che visse a lungo a Cuneo, dove compose i suoi romanzi più popolari, fra cui L’orfana del ghetto. C’è ragione di credere che il ghetto in questione sia quello di Contrada Mondovì, alle spalle del fotografo che ha immortalato il gruppo di famiglia. Nelle conversazioni dei miei nonni – l’uso poi è andato perduto, come la memoria della Madona dl’Ebreu – “andare a scola” voleva dire tante cose insieme. La scola è luogo di preghiera, d’insegnamento, di studio, di riunione È un piccolo microcosmo, che riassume in sé l’intera vita della Comunità. Le diversità delle scole dipendevano dalle diversità delle storie locali e dunque anche dei rituali e delle melodie. Nella stessa città si possono trovare, per esempio a Livorno, tre scole – la scola tedesca, la scola spagnola e la scola italiana. A Roma fino a non molto tempo fa si manteneva un’interessante distinzione tra scola catalano-aragonese e scola spagnola. La “scola di Cuneo” è sempre stata piccolissima. Cuneo non rientrava nemmeno nel curioso “rito Appam”, le tre congregazioni di Asti, Fossano, Moncalvo, assai piccole, ma capaci di conservare nei secoli quanto restava d’un vecchio rituale medievale francese. Nella storia degli ebrei le parole sono molto importanti. A Cuneo, come ovunque, la scola non era il ghetto. Scola e ghetto non sono sinonimi. La scola si può dire che sia il contrario della reclusione, sia per gli spazi di apertura mentale che ha saputo suscitare quando i cancelli erano serrati (a Cuneo come in tutto il Piemonte la segregazione durò fino al 1848), sia per la varietà delle sue funzioni. “Andare a scola”, nel linguaggio corrente, significava andare a scuola, cioè a imparare a leggere e scrivere (in ebraico e in italiano), ma significava anche incontrare e comunicare con gli altri, venire informati sui fatti principali della vita comunitaria, seguire da vicino l’applicazione della Regie Patenti emanate dalle autorità sabaude, e da quelle francesi durante l’occupazione napoleonica. Andare a scola soprattutto voleva dire studiare i libri e discuterli, secondo un gusto estetico buffo e un po’ rustico, che si riflette nella rappresentazione dell’assedio del 1799, nel disegno prima indicato, e nei disegnini che affollano i margini dei libri di studio e di preghiera, come il folletto malizioso da me scelto come mascotte.
Come altre scole, quella di Cuneo, per la sua peculiare struttura architettonica, è stata capace di rispondere a varie esigenze in uno spazio ristrettissimo, con poche finestre verso l’esterno. Uno spazio limitato, angusto, claustrofobico, ma polifunzionale. Lo stesso edificio racchiude su diversi piani: la sala di preghiera e il matroneo; un piccolo studiolo, dove il rabbino custodiva le sue carte, i suoi libri, gli oggetti di culto; una sala di consiglio e di riunione per l’amministrazione della comunità (sede del consiglio, dell’amministrazione del- la scuola vera propria, di diverse confraternite di filantropia); un asilo e una scuola primaria vera e propria, con i banchi, il pallottoliere, la cattedra; un piano interrato con il forno per cucinare il pane azzimo; un sottotetto che fungeva da magazzino.
La scola di Cuneo ospiterà una Biblioteca in memoria di Davide Cavaglion (1964-2014). L’obiettivo è quello di riavvicinare il dentro al fuori, il ghetto alla libertà, la clausura forzata in contrada Mondovì e l’itinerario stretto, via Chiusa Pesio, che conduce verso l’eguaglianza. Fuor di metafora rendere omaggio al principio sancito dal grande storico Arnaldo Momigliano per la lapide dettata per la sua tomba nel cimitero di Cuneo, secondo cui il “libero pensiero senza dogma e senza odio” va di pari passo con “l’affetto filiale per la tradizione dei Padri”.
In accordo con la Biblioteca Civica cittadina il catalogo verrà digitalizzato e presto entrerà nel Sistema bibliotecario nazionale. I libri, insegnava un grande fabbricatore di carta stampata, Angelo Fortunato Formiggini, sono come “i semi sepolti in una piramide egiziaca”. Una lezione di speranza capace anche lenire il dolore per la scomparsa di un fratello adorato. A distanza di millenni, quando noi non ci saremo più, i libri, come sempre, saranno capaci di fruttificare.

Alberto Cavaglion

Pagine Ebraiche, novembre 2015

(12 novembre 2015)