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Chiedo all’Unione Europea di etichettarmi, di bollarmi, di mettermi al bando perché anche io sono un prodotto dei “territori occupati.”
Ho studiato per tre anni in una yeshivà, Yeshivat Hamivtar vicino Efrat, su di una collina dalla quale respiravo la storia di una identità ebraica millenaria, tra Hevron ed Erodion, tra le pietre che parlano di ebrei da più di duemila anni.
E su quella collina mi è stato insegnato il senso del seguire “darchè shalom”, i percorsi di pace, tra arabi ed ebrei, che vivono, in quei luoghi così vicini eppure così lontani.
Che mi etichetti l’Europa perché vado ad Alon Shvut quasi ogni mese per lavorare con il Bet Din locale anche in pieno terrorismo assassino che l’Europa non sembra vedere.
Che mi etichetti l’Europa perché uso il timer per lo Shabbat che è stato studiato e pensato al Machon Tzomet, luogo di studio halachico e tecnologia, che anche si trova anche esso ad Alon Shvut.
Mi si etichetti perché spesso vado a mangiare i formaggi in una fattoria di un mio amico che sta a Noqdim, sulla collina vicino Tekoa, sotto i resti dell’Erodion, mausoleo del re Erode i cui lavori iniziarono nel 10 prima dell’Era Volgare, più di duemila anni fa.
Che l’Europa mi attacchi addosso un marchio perché prego al Kotel, al Muro Occidentale e cammino per le strade della città vecchia che fino al 1967 erano in mano dei Giordani e vietate agli ebrei, non agli israeliani, ma a tutti gli ebrei.
Che l’Europa mi metta all’indice, perché difendo il mio diritto a camminare per tutte le strade di Eretz Israel, insieme a tutti coloro che sapranno camminare con gli altri e che come me sentano doveroso il rispetto reciproco.
Che l’Europa ponga su se stessa, sulle sue braccia, sulla sua mente e tra i suoi politici, il segno della mia esistenza come ebreo, come nel Cantico dei Cantici 8, 6: “ Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore!” Intanto io metto all’indice le idiozie di un Europa con poca memoria.

Pierpaolo Pinhas Punturello

(13 novembre 2015)