Periscopio – Parigi
Accanto allo sgomento, al dolore, alla rabbia per gli atroci fatti di Parigi, si impongono, a mio parere, a mente fredda, tre diverse considerazioni.
Per primo c’è da augurarsi, innanzitutto, che le potenze mondiali riescano a superare, almeno in parte, le loro storiche rivalità, per impegnarsi finalmente in un serio sforzo congiunto contro una minaccia percepita davvero come incombente e comune. I dubbi e le diffidenze, al riguardo, restano consistenti, e sappiamo bene quanto siano profondi i solchi che separano alcune nazioni, non solo nelle loro classi dirigenti, ma anche nelle loro opinioni pubbliche, dove spesso qualcosa che colpisce un rivale viene accolta con inconfessabile soddisfazione. Ma non vogliamo disperare che le ragioni di una qualche effettiva solidarietà e sintonia possano farsi valere, per diverse considerazioni, e che si decida di intraprendere – o, almeno, di non boicottare – una lotta che sarà certamente molto lunga e impegnativa, e che dovrebbe svolgersi simultaneamente su una molteplicità di piani (politico, diplomatico, militare, culturale, di intelligence ecc.).
Se, però, non si può non auspicare l’avvio di tale sforzo congiunto (secondo punto), vediamo nel profilarsi della ‘santa alleanza’ dei gravi rischi e pericoli, dovuti alla composizione allargata del ‘club’, nel quale sempre più spesso si sente auspicare la piena e definitiva inclusione di soggetti come Assad o l’Iran, tutti disinvoltamente reclutati in nome della caccia al drago dell’ISIS. Penso che sarebbe opportuno soffermarsi a riflettere almeno un attimo non soltanto su cosa si voglia combattere, ma anche in nome di che cosa, in vista di cosa. Vogliamo colpire solo chi massacra innocenti urlando e sbraitando, per terrorizzare le masse, ignorando, o magari foraggiando chi usa il terrorismo, da decenni, in modo freddo e sistematico, sia pure con minore teatralità ed esibizionismo, scegliendo i propri bersagli con metodi più ragionati e selettivi? Perché ci si indigna dei ripugnanti comunicati del Califfato e si resta pressoché indifferenti di fronte ai proclami di morte e distruzione di Teheran? Com’è noto, le stragi di Parigi hanno indotto a rinviare la visita nel nostro Paese di un personaggio come Rouhani, che, alla vigilia della visita, ha ribadito, con parole raggelanti, la sua abietta ideologia nei confronti dello stato ebraico, rivendicando il diritto di odiarlo e volerne la distruzione. E il fatto che queste parole venissero pronunciate con parole calme e serene, in un’intervista televisiva dal tono elegante e compassato, ne aumenta la pericolosità, che solo un cieco (ma, a quanto pare, ce ne sono tanti) può non vedere. Se è giusto e comprensibile dare la caccia a un leone feroce, sfuggito dalla gabbia, che ha sbranato alcuni visitatori del circo davanti alle telecamere, con tremendi ruggiti, è forse saggio fare finta di non sentire il sibilo sottile di un serpente velenoso, che striscia nell’erba, in attesa di colpire?
Ma, si dirà, – e qui viene la terza considerazione – il leone azzanna tutti, indifferentemente, mentre il serpente pare avere prescelto un’unica vittima, e quindi lasciamo che sia solo lei a scappare. Ma tale ragionamento – a parte il consueto cinismo, a cui siamo abituati – è sbagliato, e proprio l’attentato del Bataclan lo dimostra. Gli assassini, come è stato dichiarato in un comunicato, avevano scelto il loro target con cura minuziosa, e infatti il teatro era stato reiteratamente fatto oggetto di minacce da parte di gruppi islamici per avere ospitato alcuni eventi di associazioni ebraiche o filo-israeliane, così come il gruppo che si esibiva, gli Eagles of Death Metal, violentemente attaccato per essersi recato in tournée in Israele. Se queste bestie feroci, indubbiamente, amano ogni tipo carne, e non vanno tanto per il sottile nello scegliere le vittime da azzannare, è l’odore di un particolare tipo di sangue, da sempre, che le eccita evidentemente in maniera tutta speciale. Non sono quindi poi tanto diverse dal serpente. Se le vogliamo veramente abbattere, allora, non sarebbe opportuno, se non altro per riconoscerle – perché, purtroppo, a essere scappate dalle gabbie sono in parecchie – interrogarci un po’ sulla loro vera natura? L’Europa vuole cominciare, una buona volta, a considerare la fondamentale componente antisionista e antisemita dell’estremismo islamico, invece di continuare a corteggiarlo con boicottaggi, ‘labeling’ e altre scempiaggini del genere?
Francesco Lucrezi
(18 novembre 2015)