…trauma

I traumatologi ci insegnano che, successivamente ad un trauma, si attiva una ritualità che funga da diga rispetto al flusso emotivo successivo. Parrebbe che, nel nostro caso, questa ritualità coincida con l’espressione, “Siamo in guerra!”.
Così l’Egitto dopo gli attentati dell’Isis, così la Giordania dopo il video del soldato bruciato nella gabbia; così la Turchia dopo le recenti stragi. Così, oggi, la Francia. Ma, in guerra contro chi? Contro il vicino di casa? Contro l’amico della porta accanto? A rigor di logica dovremmo bombardare le nostre stesse città perché da lì provengono i terroristi di oggi.
Lì sono nati, lì hanno studiato, lì sono cresciuti. Insomma, frasi sterili e totalmente vuote, sintomo solo di uno spirito di rivalsa che rassicuri sulla propria forza, rispetto ad un nemico subdolo, che certo non risponde alle logiche di guerra tradizionali.
La realtà è che non si sa cosa fare e la terribile goffaggine con cui l’intelligence francese si sta muovendo in queste ore (paragonabile solo alla precedente di gennaio) ne è una tragica conferma. Quanto, poi, all’unica guerra che avrebbe senso fare, quella contro questo immane centro di propaganda che è il Daesh, stendiamo un velo pietoso. Ognuno per conto proprio, ognuno con un obiettivo ed un nemico diverso, ognuno in guerra contro i propri alleati. Se, finalmente, si sia deciso di cambiare registro (cosa di cui, personalmente, dubito molto perché di morti ed atti efferati ne avevamo visti già abbastanza), siamo molto contenti, ma consapevoli, che, come l’Isis è nato dalle ceneri di Al Qaeda, si reincarnerà in qualche altra entità e Bin Laden-Al Baghdadi, diventerà chissà chi. Il problema è assai profondo e parte da una totale assenza di visione futura, sia per la gestione in casa propria, sia per quanto riguarda i problemi mediorientali.

Davide Assael, ricercatore

(18 novembre 2015)