Guerriglia urbana
Alcuni appunti di guerriglia urbana.
Il 29 marzo 1799 Siena viene occupata dalle truppe francesi al comando del commissario Abram, il quale fa aprire i cancelli del ghetto, abolisce i titoli nobiliari e il tribunale ecclesiastico locale, e ordina il sequestro di argenti provenienti da chiese e monasteri al fine di sovvenzionare il vettovagliamento delle proprie truppe.
Sobillato dal clero, un po’ ovunque in Toscana il popolo si accende di odio antifrancese ed antiebraico: si moltiplicano simbolismi escatologici e millenaristi, vengono riportati diversi miracoli e visioni di madonne piangenti, mentre l’agitazione antifrancese conduce alcune frange della popolazione a chiedere l’intervento delle truppe antigiacobine del Viva Maria.
Fame, paura per il futuro incerto e fanatismo religioso si coniugano in senso antifrancese ed antiebraico insieme. La povertà e il sentimento di disillusione che colpisce anche chi aveva sperato nei francesi, fanno rivolgere gli animi verso gli aspetti più esteriori della fede cattolica, vista come sola possibilità di speranza. Trovano così gioco facile i reazionari, i quali fomentano la rabbia del popolo già affamato, accusando i francesi di essere miscredenti portatori di miseria.
Il 12 aprile si solleva Firenze, il 13 Pistoia: con il sostegno del clero, in entrambe le sommosse (composte da contadini, cittadini, sbandati, e tutti coloro che da sempre si scagliano contro riforme, caro viveri, ebrei e giansenisti) vengono abbattuti i simboli francesi.
Il 29 aprile si solleva il Valdarno superiore, e la rivolta si estende all’inizio di maggio a Pescia ed Empoli, Valdarno inferiore, Valdichiana, Arezzo e molte altre località, dove si verificano disordini al grido di Viva Maria.
A Monte San Savino le violenze commesse il 7 maggio comportano lo smembramento e la fine della comunità ebraica: gli ebrei vengono picchiati e, in preda al panico, alcuni fuggono a Firenze, mentre altri, meno fortunati, si recano a Siena, dove incorreranno nel ‘pogrom’ del 28 giugno.
Intanto le bande aretine si avvicinano a Siena dove molti cittadini, sapendo trattarsi di fanatici invasati, si barricano in casa in attesa dei disordini che il Viva Maria porta ovunque arrivi, mentre il commissario Abram decide di porre la città in stato di difesa ordinando di scavare fossati e di organizzare presidi. I reazionari senesi aprono però le porte ai facinorosi aretini i quali, entrati in città da Porta Romana il 28 di giugno, si dirigono non verso la fortezza, dove sono asserragliati francesi e giacobini, ma a devastare il ghetto in cerca di beni da razziare. Sebbene si scateni la caccia al giacobino, gli ebrei sono le principali vittime, con l’accusa di essersi arruolati entusiasticamente nella Guardia Nazionale francese e di aver lodato le truppe occupanti n canti patriottici. Il ghetto viene depredato, i sefarim profanati e le porte dell’Aron del Tempio (inaugurato solo tredici anni prima) danneggiate. Nel pomeriggio tredici persone tra cui anziani, ragazzi e donne in gravidanza vengono trucidati e gettati, in parte ancora vivi, nel rogo innalzato in Piazza del Campo per bruciare l’Albero della Libertà francese. Tutto con la tacita connivenza dell’arcivescovo Zondadari, come ricorda tra gli altri D’Ercole in Un biennio di storia senese. 1799-1800, pubblicato a Siena alla vigilia della Grande Guerra:
“L’arcivescovo Zondadari, che colla sua presenza e colla sua parola avrebbe potuto evitare o mitigare l’orrenda carneficina, a differenza dell’arcivescovo Martini di Firenze, se ne stette chiuso, rendendosi così complice di tante atrocità commesse in nome della Vergine del Conforto. È fama anzi che a chi l’avesse esortato a comparire in pubblico per ammansire quelle belve inferocite, avesse risposto, facendo insulto alla Provvidenza divina, col motto: furor populi furor Dei”.
Historia (dovrebbe essere) magistra vitae.
Sara Valentina Di Palma
(26 novembre 2015)