Parigi, l’anno del coraggio
“Vivi grazie anche allo Shabbat”

Schermata 11-2457356 alle 10.55.03A pochi giorni dai drammatici fatti di Parigi il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di dicembre in distribuzione un ampio dossier (curato da Ada Treves) e vari servizi. Dal racconto del giornalista israeliano inviato nelle viscere di Daesh alla testimonianza dei giovani medici italiani in servizio negli ospedali della Capitale francese. E ancora le analisi di Ilan Greilsammer, Philippe Ridet, Gérard Haddad, Alain Finkielkraut, Georges Bensoussan. Da Charlie al Bataclan molte pagine per raccontare la ferita d’Europa e la riscossa della libertà. “Mai come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini, di giornalisti” scrive il direttore Guido Vitale nell’editoriale che apre le pagine di “Parigi, l’anno del coraggio”.

Sotto i ferri di Gadiel sono passati due feriti, uno dei quali in condizioni critiche. La struttura in cui lavora Jael si trova in un quartiere dove la quasi totalità degli abitanti è di fede islamica e dove certi argomenti possono diventare incendiari. Non sono testimoni diretti dei drammatici fatti che hanno sconvolto Parigi, ma davanti ai loro occhi continuano a scorrere incubi, speranze, incertezze della città ferita. “Dopo i fatti di gennaio, e dopo l’ultima ondata di attacchi, la domanda mi viene posta sempre più spesso: è questo il posto giusto per te? È qui che vuoi costruirti un futuro? Al momento la risposta è sì. Perché la Francia – dice Gadiel Liscia (il primo da sinistra nella foto) – mi ha dato quello che da un punto di vista professionale non avrei mai potuto ottenere in Italia”.
Ma se da una parte ha dato, dall’altra qualcosa ha tolto. Come la possibilità di vivere alla luce del sole la propria identità ebraica. “Sono arrivato a Parigi una prima volta nel 2011 e tra le mie abitudini – racconta – c’era quella di girare con la stella di Davide al collo e la kippah in testa. Da quando sono tornato lo scorso anno, in ragione dei gravi episodi di antisemitismo che già si erano verificati nei mesi precedenti, ho dovuto cautelarmi nei modi più opportuni: ho tolto la catenina e per strada indosso sempre il cappello”.
Jael LisciaJael invece alla stella di Davide, pur piccola, ha deciso di non rinunciare. “Ho studiato per cinque anni in Israele, imparando in quella circostanza a convivere con una minaccia terroristica costante. Mi sforzo pertanto di non fare nessun passo indietro, di non regalare niente a chi vuole toglierci tutto. E questo – afferma – vale sia per l’aspetto esteriore che per i comportamenti e i luoghi che abitualmente frequento”.
“Prima di entrare in un supermercato – aggiunge Jael Liscia – mi guardo attorno e rifletto su quello che sto per fare. Il pensiero va a quello che è successo. Ed è un pensiero che inevitabilmente scuote e angoscia. Ma alla fine ha il sopravvento la voglia di normalità”.
La soglia d’attenzione è comunque doppiamente alta, anche perché le responsabilità sono andate di pari passo. “Ho due bambini – spiega Jael – il più grande ha due anni, il piccolo appena cinque mesi. Penso a loro e mi chiedo: è questo il paese in cui voglio che crescano? Non ne sono tanto sicura”. La possibilità di un ritorno in Italia non è così da escludere. Anche se, viene poi precisato, “l’idea di un ‘rischio zero’ temo sia ormai utopistica”.
“Il paradosso di questa situazione – dice Gadiel – è che la vita ebraica parigina offre vantaggi enormi a chi viene da una piccola comunità. Tante sinagoghe e ciascuna con le proprie peculiarità. Ristoranti e attività commerciali casher in molti quartieri. È tutto a portata, tutto dietro l’angolo. Ma dietro l’angolo, come sappiamo, può anche esserci altro”. Un’espressione che, per Gadiel, non è soltanto figurata. Il suo ospedale si trova infatti a pochi isolati dall’epicentro dell’ultima ondata terroristica e in particolare da rue de Charonne, dove l’Isis ha colpito a morte decine di innocenti e da dove passa ogni giorno nel tragitto verso l’abitazione della fidanzata. “Avrei potuto essere tranquillamente per strada, come tanti altri parigini. Un pensiero che mi ha fatto venire i brividi. A tenermi lontano da questo pericolo – racconta – è stato il fatto che fosse Shabbat e che mi trovassi a tavola, per celebrarne l’ingresso, assieme a mia sorella e a suo marito”.
Richiamato di corsa in servizio, ha trascorso giornate lavorative segnate da grande intensità e in cui raramente ha avuto la possibilità di distogliere l’attenzione dal suo lavoro e concentrarsi su quello che stava accadendo fuori dalle mura dell’ospedale. “I dialoghi sono stati frammentari e veloci, non c’era davvero il tempo per approfondire le cose. Anche se – spiega – per alcuni minuti abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con una infermiera di reparto, musulmana praticante, che era di guardia la sera del 13 novembre e che è stata in prima linea nell’accoglienza e nella cura dei feriti”.
Più complessa la gestione dei rapporti con colleghi e pazienti per Jael, il cui ospedale vive immerso in un contesto socio-abitativo al novanta per cento islamico. “Ogni giorno sono a contatto con una estrema varietà di persone, di cui spesso ignoro la provenienza e lo stile di vita. Per prudenza – confessa – ho quindi l’abitudine di non rivelare il mio nome”. Nonostante tutte le premure, gli attentati di questo difficlie 2015 sono stati spesso oggetto di conversazione. E non di rado anche oltre il limite della decenza. “Ho assistito a una vasta gamma di reazioni. Da una parte c’è stato infatti chi ha condannato con chiare parole quanto accaduto, motivando con efficacia e incisività il proprio rifiuto. Dall’altra non sono certo mancati complottisti, odiatori e veri propri professionisti della menzogna. Lasciarli parlare è dura – conclude Jael – ma agire diversamente rischia di essere pure peggio”.

a.s.

Pagine Ebraiche, dicembre 2015

(Per leggere la testimonianza rilasciata a caldo da Gadiel Liscia al Corriere Fiorentino, clicca qui)

(29 novembre 2015)