Parigi, l’anno del coraggio
“Tanto lavoro per gli psicologi”

Schermata 11-2457356 alle 11.02.13A pochi giorni dai drammatici fatti di Parigi il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche pubblica sul numero di dicembre in distribuzione un ampio dossier (curato da Ada Treves) e vari servizi. Dal racconto del giornalista israeliano inviato nelle viscere di Daesh alla testimonianza dei giovani medici italiani in servizio negli ospedali della Capitale francese. E ancora le analisi di Ilan Greilsammer, Philippe Ridet, Gérard Haddad, Alain Finkielkraut, Georges Bensoussan. Da Charlie al Bataclan molte pagine per raccontare la ferita d’Europa e la riscossa della libertà. “Mai come oggi, in questi giorni di minaccia e di paura, ma anche di risveglio degli ideali di libertà e di orgoglio identitario, vogliamo ascoltare e pronunciare chiare parole. Ecco la nostra istanza di ebrei italiani, di cittadini, di giornalisti” scrive il direttore Guido Vitale nell’editoriale che apre le pagine di “Parigi, l’anno del coraggio”.

“Niente sarà come prima. Ma questo fondamentalmente lo sapevamo almeno già da gennaio, dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e al supermercato casher. Anche se c’è chi non ha voluto vedere e si è detto: non sono né vignettista, né ebreo. Cosa può succedermi?”. Giornalista e scrittore, autore di Rome, l’Italie et moi, Philippe Ridet racconta ogni giorno l’Italia e le sue complessità ai lettori di Le Monde. È un parigino (anche se d’adozione) “ferito”, ma non ha rinunciato alla speranza che i suoi connazionali continuino a riempire i locali e ad affollare le strade e i boulevard.
“Lo spero, lo spero davvero di tutto cuore. Anche se non sarà semplice, perché a mio avviso l’elaborazione di quanto accaduto, per molti, non è nemmeno iniziata. Nella vita, come sappiamo, ci sono infatti diversi modi di affrontare un lutto: c’è chi piange, c’è chi resta apparentemente imperturbabile, c’è chi crolla magari qualche settimana dopo. Uno standard che possiamo applicare a questa nuova situazione, anche se adesso non parliamo più di fatti individuali ma di traumi che riguardano una intera collettività. La sensazione – osserva Ridet – è che gli psicologi francesi avranno molto materiale su cui lavorare”.
Ci sono già delle conseguenze, sottolinea il giornalista. Piccoli ma indicativi segnali, tra i quali il considerevole aumento di giovani che hanno fatto domanda di arruolamento nell’esercito.
Un fatto che viene interpretato come un riflesso di “patriottismo” e “autodifesa” allo stesso tempo.
A colpire, prosegue Ridet, è anche il significativo e trasversale consenso che vi è stato alle misure di emergenza adottate dal presidente Hollande. “Il tema della sicurezza – riflette mai centrale da anni nel dibattito politico nazionale. E allo stato attuale è crescente il numero di francesi disposti a rinunciare a un po’ di libertà in cambio di una maggiore tutela. Vale nella vita reale e vale anche su internet e social network. Il ragionamento di molti è: non frequento siti jihadisti, non ho niente da temere. Quindi alla grande maggioranza va bene così”. Facendo delle istanze della destra le sue proposte, Hollande sembra guardare anche ai prossimi appuntamenti elettorali. In particolare alle elezioni regionali del 13 dicembre, un crocevia ritenuto fondamentale per consolidare la sua legittimità all’Eliseo. “Come noto, il rischio è che si vada incontro a una pesante sconfitta per la sinistra e contestualmente a un exploit del Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che potrebbe accaparrarsi una o due regioni. Dietro alla decisione di Hollande c’è quindi una chiara intenzione di sparigliare le carte e di procacciarsi maggiori possibilità nell’urna. D’altronde – spiega Ridet – il terreno è stato preparato da tempo ed è stato alimentato da una vivace dialettica che ha visto protagoniste, in un clima non esattamente sereno, forze di sinistra, destra ed estrema destra”.
Oltre alla politica a mobilitarsi è comunque tutto un paese, ritrovatosi compatto nella difesa dei valori fondamentali del mondo libero e progredito. Anche senza necessariamente scendere in piazza, anche senza gremire viali e luoghi di incontro. Un fatto che ha sorpreso alcuni. Ma non il nostro interlocutore. “Tanti – dice infatti – stanno vivendo questa tragedia in una dimensione privata, sforzandosi di trovare dentro di sé i mezzi per fronteggiarla. A gennaio avvertivamo l’esigenza di mostrarci uniti e numerosi davanti ai nostri nemici. Adesso la priorità è un’altra: attingere a tutte le nostre forze, anche e soprattutto psichiche. Farci trovare pronti, ammesso che sia possibile, in caso di un nuovo attacco”. L’idea che Parigi sia una città pericolosa, conclude Ridet, “fa d’altronde parte del suo dna”. E ricorda la terribile stagione degli attentati che colpirono la capitale nei decenni passati, tra cui l’attentato alla sinagoga di rue Copernic del 3 ottobre 1980 e ancora l’attacco di un commando killer al ristorante Goldenberg, in rue des Rosiers, nel quartiere ebraico cittadino (9 agosto 1982).
“Hanno colpito più volte noi e con noi i valori che rappresentiamo – riconosce la firma di Le Monde – È un momento duro, ma non dobbiamo mollare”.

Adam Smulevich

Pagine Ebraiche, dicembre 2015

(29 novembre 2015)