Il libro del ministro Alfano
Quell’illusione da riconquistare

alfano thumbSarà il presidente dell’Unione delle Comunità Italiane Renzo Gattegna a presentare in una serata coordinata da Bruno Vespa “Chi ha paura non è libero” (Mondadori), il libro del ministro degli Interni Angelino Alfano, da poco pubblicato. Il racconto in prima persona della minaccia rivolta dall’Islam integralista alle società libere e democratiche e dello sforzo che queste stanno assumendo o sono chiamate ad assumersi nella lotta al terrore.
L’appuntamento è per mercoledì pomeriggio a Roma alle 18, nei locali della Biblioteca Angelica (piazza di Sant’Agostino, 8).
Insieme al ministro Alfano e al presidente Gattegna interverranno anche monsignor Rino Fisichella, l’imam Yahya Pallavicini, i giornalisti Monica Maggioni e Bruno Vespa.
Sul numero di dicembre del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche in distribuzione uno stralcio in anteprima dal libro. “Resteremo vigili – assicura Alfano – e lo faremo per i nostri figli, per consegnare loro un’Italia ancor più libera e sicura nella quale vivere. Il nemico è forte; i nostri valori democratici e i nostri princìpi liberali lo sono di più. Molto di più. Per questo vinceremo”.

Quell’illusione da riconquistare

libroNessuno sceglie il tempo in cui vivere. A me, a noi, alla mia generazione, è capitato il privilegio di non conoscere le guerre del secolo scorso. A me è capitato l’onore di essere ministro dell’Interno e la responsabilità di esserlo al tempo dell’Islamic State.
A me, alla mia generazione, è capitato di illudersi che le guerre potessero essere solamente quelle lì; quelle “convenzionali”. Soldati in divisa, carri armati, dichiarazioni ufficiali affidate agli ambasciatori degli Stati in conflitto. Già, gli Stati, quelli che la geografia e la storia ci hanno lasciato in eredità nei secoli e negli ultimi decenni. Fino a Jalta e fino ai postumi democratici della caduta del Muro di Berlino. Era, appunto, un’illusione. Come era un’illusione l’idea che la pace portasse a una crescita infinita. L’illusione di chi è nato negli anni Settanta e ha conosciuto solo pace e prosperità.
Peace and prosperity, promisero e mantennero per decenni i Padri Fondatori dell’Europa unita. Oggi non è più così: né per la pace e neanche per la prosperità. E chi, come me, fa parte di quella generazione e si trova al governo del Paese ha una missione precisa: evitare in tutti i modi e a tutti i costi di pagare e far pagare un conto altissimo alla fine di quell’illusione. Innanzitutto guardando la realtà dritto negli occhi: c’è una guerra in corso. E non è di quelle che il secolo scorso (e anche i secoli precedenti) ci ha inflitto e gli storici ci hanno raccontato. Non è quella guerra lì. Non ci sono gli Stati, a scambiarsi le dichiarazioni di guerra. O meglio: non ci sono gli Stati riconosciuti dalle Convenzioni e dai Trattati internazionali, quelli con il posto a sedere all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e negli organismi multilaterali internazionali. No. C’è un’organizzazione che ha ambizioni, soldi e uomini che nessuno ha mai avuto. È un’organizzazione terroristica che ha la pretesa di chiamarsi Stato, un’ambizione fin qui ignota a tutti i terroristi e a tutti i terrorismi; anche quelli per definizione “rivoluzionari”.
Un’organizzazione che, nella sua folle presunzione statuale, invoca la legittimazione di una religione, quella islamica. E che per giustificare il sangue versato nelle strade dalla furia omicida dei suoi accoliti tiene in ostaggio un Dio. Un Dio prigioniero della megalomane follia di un uomo che si è autoproclamato “Califfo”, comandante dei credenti, con l’obiettivo di rappresentare l’unità politica della comunità dei musulmani, ovvero la Umma. Il rappresentante pro tempore di Allah sulla Terra. Un uomo che ha l’aspirazione di cancellare tutti i confini esistenti dentro lo spazio fisico dell’antico Califfato, di riproporre il sogno della grande Siria, dove chiamare a raccolta tutti i musulmani della Terra. Richiamarli a combattere per la realizzazione del folle sogno e poi a vivere lì per ripristinare la purezza dell’antico Islam. È esattamente con quest’uomo che dobbiamo fare i conti; con le sue bombe, con le sue ambizioni, con la sua ferocia che vuole farsi scudo di un Dio nel quale credono oltre un miliardo e mezzo di persone nel mondo e un milione e seicentomila in Italia. Ha ucciso in due terzi del pianeta spargendo sangue in una lunga e drammatica cronologia del terrore: Parigi, Bruxelles, Sydney, Ottawa, Copenaghen. Ha fatto paura all’Occidente e anche agli sciiti del Medio Oriente. Ha occupato territori, compiuto razzie, violentato donne, ha fatto stragi di bambine e bambini, ha sequestrato uomini e li ha liberati per ottenere riscatti. Altri li ha sgozzati davanti alle telecamere, e altri ancora li ha bruciati dentro una gabbia di metallo. Ha costretto i leader internazionali a correre a Parigi per confermare amicizia e vicinanza al popolo francese che, dopo un terribile attentato a un giornale satirico e ai suoi collaboratori, sfilava in silenzio per le strade. E nel frattempo lui, quell’uomo, il “Califfo”, organizzava il suo “Stato” come fosse un vero Stato: esigendo le tasse e distribuendo pane agli affamati in un falso e sbilenco sistema di welfare, di protezione sociale. Mentre noi marciavamo nella capitale francese, lui continuava a fare proseliti sul web promettendo benessere e felicità, esortando chiunque ad attivarsi in proprio, a commettere attentati ovunque fosse possibile, a organizzare la strategia dei “mille tagli”, mille ferite per dissanguare il nemico. Cioè noi, le comunità occidentali e democratiche del mondo. Ogni attentato è un taglio utile all’emorragia del mondo libero. E non solo. Ha esteso il suo appello a tutti i musulmani della Terra e ha chiesto loro di recarsi a combattere e poi di ritornare nei Paesi di nascita, di educazione, di residenza, per colpirli ancora. Anche questo abbiamo dovuto subire: l’Europa del diritto e della civiltà centrata al cuore – a Parigi come a Bruxelles – da terroristi vestiti con abiti europei, madrelingua nei loro Paesi. Ci ha costretti a correre a Washington per organizzare una strategia di contrasto a quel fascino che lui, il sedicente “Califfo”, ha saputo esercitare su chi parlava francese e ha colpito la Francia, e su tutti quelli pronti a ferire il proprio Paese. Un fascino veicolato attraverso l’uso sapiente dei (suoi) media. Giornali, televisioni, account Twitter e ogni strumento utile a promuovere un messaggio di speranza e riscatto del “vero Islam”.
A Washington per il programma “Counter Violent Extremism”, insieme al presidente Barack Obama, per dire che è una guerra che si combatte riportando in alto i vessilli delle democrazie, il fascino e la bellezza della libertà. A Bruxelles, a Lussemburgo, a Roma con i colossi del web per fare squadra nella promozione di una “contro- narrativa”, di una “controretorica” e nella individuazione di tutti quegli allerta precoci capaci di evitare un’altra strage. Nel frattempo, lui continuava a distruggere opere d’arte millenarie o a rubarle e a farne mercimonio per alimentare il suo “Pil del terrore”, a occupare pozzi petroliferi e a venderne il prodotto a prezzi da contrabbando, procurandosi soldi sporchi sul mercato illegale. Intanto, costringeva l’Onu a riunirsi per assumere decisioni e a sollecitare i singoli Stati perché intervenissero. Obbligava l’Unione europea e i suoi organi, il Parlamento, il Consiglio, la Commissione, a chiedere ai cittadini di fare lunghe file negli aero- porti per subire controlli più severi o di vedere registrato per anni il proprio nome nelle banche dati delle compagnie aeree.
Europei alla prova dell’ansia in metropolitana oppure in treno, e a quella di vedere in ogni barba lunga un possibile nemico, in ogni moschea una minaccia alla sicurezza nazionale. Europei impauriti da attacchi senza precedenti. Contro la nostra storia, contro la nostra cultura, contro i nostri valori. Per farci vivere peggio. Per farci cambiare abitudini e il modo stesso di sentirci cittadini del nostro tempo e dei nostri luoghi. Tutto organizzato da lui, che eredita tensioni storiche del Medio Oriente e frustrazioni nuove dell’Occidente. Lui ha ingaggiato contro di noi una guerra che non ammette armistizi. Lui è Abu Bakr al-Baghdadi, l’uomo che sfida anche al-Qaeda e che vuole essere il “Califfo” dello Stato islamico, l’Islamic State. L’uomo che ha fatto paura al mondo. Contro di lui dobbiamo lottare. Perché chi ha paura non è libero e combattere contro la paura significa combattere per la libertà. È il compito di tutti noi; è il compito della mia generazione. Quella che si era illusa che il mondo libero fosse per sempre libero da guerre. Per fare sì che questa illusione infranta diventi certezza per i nostri figli.

Angelino Alfano, ministro degli Interni

(30 novembre 2015)