Alain Finkielkraut – “L’Europa e la Memoria.
Le lancette sono sfasate”

Schermata 12-2457364 alle 14.46.48La violenza terroristica di questi giorni, partorita dal radicalismo islamista, non fa altro che rilanciare alcune questioni di fondo: l’immigrazione musulmana, massiccia e continua, è integrabile nelle nostre società? Ed ancora, a quali condizioni siamo capaci di pensare noi stessi dinanzi ai cambiamenti collettivi che rischiano di soverchiarci? Esiste un problema di identità nazionale, repubblicana e, in caso affermativo, come va ridefinito il tema alla luce delle trasformazioni che, in linea generale, subiamo senza riuscire a gestirle?
Il filosofo e polemista Alain Finkielkraut, noto anche con il diminutivo di “Finky”, prolifico autore ed esponente della più ampia e oramai storica generazione dei nouveaux philosophes, affermatisi in Francia a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, in contrapposizione alle ortodossie cristallizzate dei marxismi europei, si interroga su questi ed altri temi in un recentissimo, volume, La seule exactitude (L’unica esattezza, titolo che rimanda a una citazione di Charles Péguy), da poco uscito per l’editore Stock di Parigi. L’autore, ripetutamente tradotto in Italia negli anni scorsi, è figlio di genitori sopravvissuti alla Shoah. Formatosi alla prestigiosa École normale supériore della capitale francese, fucina di docenti e ricercatori, ha successivamente insegnato storia del pensiero presso il dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’École polytechnique. Pensatore fortemente legato al magistero intellettuale di Hannah Arendt, Emmanuel Lévinas e Vladimir Jankélévitch ma anche di Freud e Heidegger, da sempre combatte una battaglia contro quelle che considera le posizioni del relativismo culturale e valoriale diffuse da tempo nei paesi occidentali. Il suo ultimo volume, che si inserisce in questo filone di riflessioni, raccoglie e riordina i numerosissimi interventi succedutisi, tra il 2013 e l’anno corrente, sia nelle trasmissioni di Radio Communaute Juive, di cui è abituale ospite, sia su Le Figaro e il mensile di Elisabeth Lévy Causeur. La prospettiva di Finkielkraut è netta: sia la società francese che quelle europee hanno perso la capacità di cogliere il senso delle cose, di stabilire dei significati condivisi, di analizzare e cogliere il senso del presente, surrogando tale incompetenza con il rifugio in una memoria al medesimo tempo tanto consolatoria quanto illusoria (“i bei tempi trascorsi”) oppure in quel che resta di una speranza verso il futuro dove il feticcio progressista compensa la perdita di orizzonte nel tempo corrente. Alla base del pensiero dell’autore vi è una nota di profondo pessimismo, legato al declino del repubblicanesimo e alla crisi della laicità nel corpo delle società franco-europee. Non di meno, tema ricorrente è l’antisemitismo come specchio rovesciato delle difficoltà in cui si trovano i paesi a sviluppo avanzato, dinanzi alle trasformazioni indotte dalla globalizzazione e dalle migrazioni. Citando Paul Valéry, il filosofo rimanda al fatto che: “Quand un homme ou une assemblée, saisis de circonstances pressantes ou embarrassantes, se trouvent contraints d’agir, leur délibération considère bien moins l’état même des choses, en tant qu’il ne s’était jamais présenté jusque-là, qu’elle ne consulte des souvenirs imaginaires”. L’immaginazione, ben lontana dall’essere una risorsa, diventa così una fuga dalla realtà. Disarmando quanti dovrebbero invece provvedere politicamente – ovvero negli interessi della collettività – in base a ragione e consapevolezza. Finkielkraut, insieme ad altri pensatori e scrittori come Eric Zemmour, Michel Houellebecq e Michel Onfray, è da tempo nell’occhio del ci clone. Ad essi, infatti, si imputa il non adoperarsi più nella lotta contro il razzismo ma di essere semmai preoccupati esclusivamente delle derive dell’antirazzismo, di tessere le lodi del francese di ceto medio di contro all’attenzione per i percorsi di integrazione degli immigrati, di nutrire un pregiudizio a tratti islamofobico e un’ossessione per l’identità nazionale.
Non pochi critici hanno rilevato che una parte di queste posizioni accostano pericolosamente l’intellettualità che le esprime al Front National di Marine Le Pen, quanto meno sul piano della formulazione delle priorità dell’agenda culturale. I detrattori rimandano al fatto che la radicalità di certe idee sarebbe proporzionale al marketing comunicativo, prestandosi al gusto della polemica fine a se stessa. In realtà, il mutamento delle idee di Alain Finkielkraut segue una traiettoria che in Francia, così come in Italia, ha connotato una parte del mondo intellettuale formatosi a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, passando da posizioni di sinistra, ancorché tra di loro già in origine molto diversificate, ad un’attenzione molto più accentuata per la radice dell’identità individuale e, in immediato riflesso, collettiva. L’opportunismo, del quale sono ripetutamente accusati, sembra più nascondere un conservatorismo di ritorno, dove all’idea astratta di riformabilità della società si è sostituita la necessità concreta di preservare la comunità da una globalizzazione che è vista come un processo senza volto né sostanza.

Claudio Vercelli

Pagine Ebraiche, dicembre 2015

(L’illustrazione è di Giorgio Albertini)

(7 dicembre 2015)