Opera omnia

Valerio FiandraDi quanti autori ho letto l’Opera Omnia ? Di uno certamente, è Juan Rulfo.
De La pianura in fiamme ho bevuto più e più volte – a sorsi avidi o timidi, fonti inesauste di arsure, sbronze, reminiscenze e oblio – la miscela di dure esistenze e soavissimi incantesimi, di vite perdute e redente, di fiati e risa e umori spazzati dallo stesso vento implacabile che brucia ma accende, e che soffia fra le pagine e le parole, le righe in nero e quelle bianche: racconti di fiato, cioè di spirito, di ruah, di pneuma, di respiro.
Poi ho letto Pedro Páramo, il suo capolavoro, del quale ogni mia pur corretta recensione non potrebbe restituire la bellezza. Voglio solo dirvi che qui più che mai la lingua di Juan Rulfo, quella sintesi di forma e contenuto che disvela e rivela, che più inganna meglio dice il vero – è autentica, matura come una mela perenne, che non marcisce né avvizzisce, che a morderla si rinnova, a berla si riempie ancora, e più sono i morsi più si fa polpa da ben masticare e succo da deglutire, per farsi seme, per rinascere: entelechia, frutto e seme insieme, Lingua.
E ora ho letto questo Il gallo d’oro (editore Einaudi, € 14, traduzione di Paolo Collo), terza e ultima opera di Juan Rulfo, scritta non si sa esattamente quando (rimando, per approfondimenti, alla prefazione del solito bravissimo Ernesto Ferrero).
Non vi so dire se è un romanzo breve o un lungo racconto: così come non è poesia solo se si va spesso a capo, la lunghezza in pagine non determina il sottogenere. Il fiato, lo sviluppo interiore, la durata, piuttosto; ma ci sono testi che contraddicono queste misurazioni, romanzi che sono un po’ racconti o viceversa.
Il gallo d’oro è fra questi: copre decenni, ai suoi personaggi capitano diverse avventure, c’è un inizio e un finale, ma il fiato che soffia fra le pagine non è quello dei romanzi. Così mi pare adesso, e di più non posso dire perché, se non lo avete ancora letto, gli argomenti che dovrei usare per confermare o smentire il mio assunto non potrebbero far a meno di esempi tratti dal testo, di raccontarvi cosa succede, e questo non si fa.
E allora, come è questo libro ? (Scusate, divagavo. Pardon!).
È bello.
Non è “beeeelissssssimo”, come ho sentito qualche volta dire da una buona lettrice, ma funziona. E dura.
Cosa vuol dire ‘funziona’?
Lo leggi volentieri, e mentre sei lì, e vuoi sapere come va a finire, ti capita di osservare, di chiederti, di riflettere, di pensare. Cosa anima i singoli personaggi? (Perché la C dice e fa quel che fa e dice ? E quando DP torna, dove torna davvero? B è cattivo o no? Ma, nu!, DP poteva anche non, perché lo ha fatto ? Oy!, ma non è un po’ come la mia amica Pinka, la C?)
E così via, leggendo fra le righe, vi leggete un poco anche voi.
Il libro è un buon racconto romanzesco, meno lancinante di quelli raccolti ne la Pianura in fiamme, meno totalizzante del Pedro Páramo, ma efficace e significativo.
La parabola della vita di Dionisio Pinzón – dalla miseria alla miseria, dalla solitudine alla solitudine – passa però lungo le strade della ricchezza e del successo sociale. La scena è quella delle campagne messicane, delle feste, dei combattimenti fra galli. Ma è la Fortuna, quella dritta e quella storta, incarnata in Bernarda, a presiedere e orientare le sorti di tutti: ‘La Caponera’ condiziona infatti, quasi senza accorgersene, e senza poterne fare a meno, le vite dei personaggi.
Questa storia, però, che sembra così lontana nello spazio e nel tempo, è percorsa da un fluido che la trasforma in qualcosa di molto più vicino e presente, come un fiume che si inabissa e poi riemerge, e del quale si avverte la presenza anche quando non si vede.
Avete presente quella strofa di John Lennon in Beautiful Boy / Darling Boy dedicata all’allora suo piccolo figlio Sean: “La vita è ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti”? Ecco: voi leggete cosa capita a PD, ai galli e alla C, e – nel frattempo, come sotto pelle – un aspetto, una parte della vostra o di altre vite, che non avevate ancora ben considerato, si fa vedere.
Lasciatevi andare, leggete, interrogate il testo: tanto, ciascuno trova quel che trova, e non è detto che cercare sia più efficace, a volte è meglio lasciarsi trovare, pare di perdersi e invece ci si trova.
E se non trovate niente ? Bene, comunque: forse non c’è davvero niente, forse dal vostro angolo di adesso non si vede abbastanza chiaro, forse è invece così tanto visibile, ma anche tanto doloroso che da troppo vicino… Oppure: giorni mesi anni dopo, che ne so, siete in bagno, sul metro, seduti da soli in attesa di un appuntamento, state leggendo un giallo, guardando svogliati un talk show, o cogliete al volo un frammento di frase alla radio o in ufficio…, e BANG! Magari non saprete perché, né da dove o come, ma quel niente che avevate trovato in un libro che avete rimpianto di aver letto (“ma chi è poi sto Fiandra, perché mai mi sono fatto influenzare?”) , quel niente adesso è qualcosa, ha socchiuso di un poco la porta, forse merita spingere, entrare, e ragionarci su per un poco.

Valerio Fiandra

(10 dicembre 2015)