Periscopio – Corpo immortale

lucreziDa segnalare, per chi si interessi agli aspetti filosofici dell’identità ebraica nell’età moderna, alle sue multiforme rappresentazioni sul piano artistico e mediatico e, in particolare, alle componenti magiche ed esoteriche della tradizione israelita, un libro appena pubblicato che spicca per l’ampiezza delle tematiche trattate, la profondità dell’analisi, l’accuratezza della documentazione e l’originalità dell’angolazione e dell’impianto espositivo: Il corpo immortale. Longevità e sopravvivenza nell’immaginario tra Ottocento e Novecento (Bulzoni, Roma), scritto da Riccardo Notte (Professore di Antropologia culturale presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, e autore di molti affascinanti saggi sulla recezione dei miti antichi nella civiltà informatica, tra i quali ricordiamo, in particolare, Millennio virtuale, La razza stellare, La condizione connettiva, You, robot, Machina ex machina, Fenomenologia della fine del mondo).
Al centro della ricerca di Notte c’è l’angoscia della morte, il rifiuto da parte dell’uomo dell’idea del proprio annientamento finale, percepito non solo come fine dell’esistenza, ma anche come una negazione totale di senso per tutto ciò in cui si è creduto e per cui ci si è impegnati in vita: tutto destinato, con la morte, non solo a finire, ma a diventare assolutamente inutile e insignificante.
È per contrastare tale idea distruttiva che gli uomini hanno perciò elaborato, nei millenni trascorsi, variegati tipi di credenza in forme di resurrezione, rinascita o reincarnazione post mortem, volte ad illudere riguardo alla possibilità di potere sopravvivere, in qualche modo, anche ‘dopo’, in luoghi o ‘non luoghi’ immaginari di diversa configurazione.
Ma, rispetto a tale eterno tentativo di illusione, l’età moderna segna una cesura, dal momento che i continui progressi della scienza e della tecnica sembrano indicare, per la prima volta nella storia dell’umanità, la prospettiva di una ‘reale’ immortalità o comunque di forme di longevità indefinitamente prolungate fino all’idea di una sorta di ‘uscita dal tempo’.
L’idea di una ‘vera’ immortalità, o di una longevità ‘sine die’, cambia l’intera antropologia moderna, profondamente risignificata nel quadro di una nuova ‘ideologica tecnologica’ che, ovviamente, non pone certo termine alle paure dell’uomo ma ne muta profondamente la percezione e rappresentazione.
I riferimenti al pensiero ebraico e alla civiltà d’Israele (quella civiltà che, secondo Heschel, avrebbe “inventato il tempo”) sono, nel testo, numerosi e altamente interessanti, e non se ne può dare conto nello spazio di questa breve nota. Menzioniamo soltanto le suggestive pagine dedicate al mito del Golem, legato alla leggendaria creazione del fantoccio di argilla da parte di Rabbi Loew, il famoso Maharal di Praga, ma già presente nell’esoterismo ebraico, in varie forme, fin dal quarto secolo. L’immagine del Golem – creatura ambigua, né benevola né malevola, intelligenza senza coscienza, azione senza volontà, oscillante tra il bene il male, tra la terra inerte e l’uomo pensante, misterioso pupazzo animato dalla parola ‘emet’ (verità) e disattivato dalla parola ‘met’ (morte) -, ci spiega Notte, è stata vista come una “metafora dell’intelligenza muta del popolo ebraico, che si coagula in un’entità baluardo, in un difensore invincibile, ovviamente immortale, proprio come la stirpe”.
È, quindi, proprio la continua necessità di una difesa, il continuo pericolo di morte che ne ha animato la figura, segnata da una parola di ‘verità’ che alla parola ‘morte’ fa contrasto, ma che tale parola è condannata, anche foneticamente, per sempre, a racchiudere.
Silenzioso compagno del popolo di Israele nei dolorosi giorni dell’esilio, il Golem, entrato nell’età moderna, ha colpito, col suo sguardo muto, molti di coloro che si sono di nuovo interrogati, nel rinnovato contesto culturale, sul rapporto tra morte e verità, dando così stimolo ai libri di Elie Wiesel e Moshe Idel, così come al romanzo di Meyrink, ai film di Wegener, Galeen e Boese, fino ai tanti personaggi che, nei fumetti e cartoons, ne hanno sfruttato la figura (come, per esempio, la ‘Cosa’, uno dei ‘Fantastici Quattrop di Stan Lee).
La storia del Golem, così, può essere letta come la storia dell’umana coscienza, perennemente in bilico tra resa alla paura della morte e tentativo di esorcizzare tale paura attraverso l’arte e la fantasia.
Un libro, quello di Notte, da leggere, e su cui riflettere.

Francesco Lucrezi, storico

(16 dicembre 2015)