Il settimanAle
Washington-Gerusalemme

alessandro-treves Dopo la rielezione di Barack Obama, la percentuale di ebrei americani che lo avevano votato venne stimata al 70% – mentre fra gli ebrei americani trasferitisi in Israele, che potevano comunque votare alle presidenziali, appena al 20%, ovvero addirittura l’80% avrebbe votato per Mitt Romney. La parte dell’ebraismo americano che ha scelto l’aliyah, circa 170 mila persone, non è quindi rappresentativa, politicamente, dei 5-6 milioni rimasti in Usa, in maggioranza vicini al partito democratico e alle sue istanze civili e sociali. Un contrasto riproposto dall’editoriale di Haaretz del 18 dicembre e dall’articolo di Allison Kaplan Sommer del 14 dicembre. Il primo riporta la notizia che almeno 3 dei 6 giovani coloni estremisti, fermati dallo Shin Bet dopo l’incendio della casa della famiglia Dawabshe e presunti fondatori del gruppo eversivo La Rivolta, avrebbero anche il passaporto Usa, e un altro quello australiano. Secondo uno studio, ben 60 mila dei 170 mila americani che hanno fatto l’aliyah vivono in realtà negli insediamenti oltre la Linea Verde, una percentuale almeno 5 volte maggiore rispetto alla totalità degli israeliani ebrei. La Terra Promessa, oppure una gigantesca discarica a cielo aperto per quell’un per cento rifiutato sia dall’America che da Israele?
Tutt’altri orientamenti per gli ebrei americani che a New York, secondo la Kaplan Sommer, hanno accolto come una rock star Ayman Odeh, il leader della Lista Unita arabo-israeliana, e l’hanno applaudito a lungo entusiasti quando ha parlato di futuro condiviso fra ebrei e palestinesi. Chissà che qualcuno, in sala, non abbia fatto un pensierino su Odeh come possibile futuro Obama israeliano, se mai verrà un tempo per eleggere un rappresentante dell’attuale minoranza. Prospettive lontane. Nell’immediato Obama, quello vero, viene accumunato al presidente israeliano dalle invettive del padre di uno dei giovani fermati. Secondo quanto riferito il 14 dicembre su Ynet da Elisha Ben Kimon e Yael Freidson, il genitore, già noto alla polizia per le sue intemperanze, si è lanciato in un post su Facebook contro il “fuhrer Rivlin” che ha acceso le candele di Hanukkà nella “Casa Nera di quell’arabo” (vale a dire Obama). Urge che i due paesi trovino un accordo per la gestione delle scorie radioattive.

Alessandro Treves, neuroscienziato

(20 dicembre 2015)