Periscopio – Terrorismo

lucreziGrande interesse ha suscitato tra gli ascoltatori una conferenza pronunciata lo scorso mercoledì 16 dicembre, a Napoli, su iniziativa delle Associazioni Guida alla cultura e Italia-Israele, da parte di Michael Barilan, professore di Bioetica presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Tel Aviv, sul tema “Il terrorismo in Europa e in Israele: sensibilità a confronto”. Uno dei punti più importanti dell’analisi del relatore è stato quello della presunta “irrazionalità” del terrore di matrice islamista, generalmente presentato come un fenomeno intrinsecamente “irrazionale”, difficile non solo da contrastare, ma anche soltanto da comprendere, in quanto lontano a tutte le forme di pensiero e di logica su cui si fonderebbe la cosiddetta civiltà occidentale, nella quale ogni azione, buona o cattiva che sia, dovrebbe naturalmente tendere – indipendentemente dal suo maggiore o minore successo – a raggiungere un comprensibile risultato, consistente in qualche forma di tornaconto per chi la ponga in essere: quando si ruba, si depreda, si uccide, si commettono stragi o stermini, lo si fa, presumibilmente, nella speranza di guadagnare qualcosa, in termini di ricchezza, potere, prestigio ecc. Anche le azioni più crudeli o efferate dovrebbero avere, generalmente, uno scopo, una razionalità. Ma appare difficile inquadrare in tali categorie dei gesti – come l’11 settembre, o le recenti stragi di Parigi – di cui sfugge il senso, al di là del puro desiderio di seminare morte, dolore e terrore nelle file di un ‘nemico’ che non si potrà mai sconfiggere (anche perché coincidente, per certi versi, con gran parte dell’intero genere umano), ma che bisogna, comunque, colpire, anche se non si capisce bene perché.
In realtà, ha notato Barilan, questa non è certo la prima volta che la storia degli uomini è segnata da forme apparentemente irrazionali di violenza. Negli anni a cavallo tra Otto e Novecento, per esempio, diversi gruppi anarchici misero in atto, in varie località europee, sanguinosi attentati, diretti non solo contro sovrani e politici, ma anche contro inermi cittadini, col solo scopo – apparentemente insensato – di sgretolare l’ordine della ‘società borghese’. L’attentato al Bataclan, per esempio, ricorda da vicino la bomba fatta esplodere, nel 1894, nel Café Terminus di Parigi, dall’anarchico francese Émile Henry. Se la pace e la guerra, fino a quel tempo, apparivano regolate da forme di regole generalmente condivise dall’insieme dei popoli e delle nazioni – che riconoscevano il diritto del vincitore di dettare legge, e l’obbligo del soccombente di rispettare il nuovo ordine -, gli anarchici rigettavano in radice tale logica, in quanto non desideravano mutare gli equilibri dell’organizzazione mondiale esistente, ma distruggerla completamente, per quanto ciò fosse logicamente impossibile. In questo senso, essi assumevano una veste simile a quella dei pirati, considerati dalla legge internazionale come “nemici dell’umanità”, soggetti la cui azione appariva contraria a ogni forma di regola di civile convivenza – anche alle leggi di guerra -, e pertanto privati di ogni forma di protezione giuridica e umanitaria (al punto da poter essere assoggettati da chiunque a esecuzione sommaria).
Gli anarchici – nota Barilan – si autodefinivano pirati – avendo in comune con essi il rifiuto di ogni legge, regola o convenzione -, Bakunin si autodefinì un bandito, ma, a differenza di quelle dei pirati e dei banditi, le loro azioni non erano dettate da avidità di bottino e ricchezza, ma dal desiderio – che è lo stesso dell’ISIS – di usare il terrore come strumento di comunicazione, spaventando e disorientando le persone inquadrate nel sistema e soffiando sulla brace delle masse scontente, emarginate e frustrate, sollecitandone una “presa di coscienza” e un diretto coinvolgimento nello scontro rivoluzionario.
Appare un’ironia della storia, ha osservato Barilan, il fatto che dei fondamentalisti religiosi e antioccidentali, come quelli del Daesh, sembrino seguire una logica che è stata inventata proprio nell’odiata Europa, e da movimenti nati all’insegna del più assoluto ateismo.
Aggiungerei, a tale lucida analisi, che la storia insegna che i pirati, di ogni tipo, incontrano sempre qualcuno che trova più conveniente, anziché combatterli, assoldarli, apertamente o di nascosto, per sfruttarli per il raggiungimento dei propri obiettivi, più o meno confessati. E il pirata, nobilitato dall’ingaggio politico, diventa così ‘corsaro’. Ciò avverrà sempre, fintanto che i pirati agiranno in un mondo di nazioni rivali, quando non nemiche, che si compiacciono, o fingono di dolersi, delle disgrazie dei loro avversari. Quelli del Califfato, perciò, non appaiono tanto pirati, quanto corsari, dal momento che ricevono lauti finanziamenti da potenti stati sovrani, come l’Arabia Saudita (teoricamente alleata anche di chi li combatte, come gli USA).
Per non parlare, poi, di coloro che colpiscono in Israele, per i quali tutti si affannano a spiegare che la situazione è diversa, e che sono tutto tranne che terroristi. Solo il perfido Shylock poteva dire, spudoratamente, che gli ebrei soffrono, e sanguinano, come tutti gli altri uomini.

Francesco Lucrezi, storico

(23 dicembre 2015)