Robert Spitzer (1932-2015)

Spitzer Il suo contributo alla psichiatria è legato a uno dei suoi angoli più ignorati, come scrive il New York Times, ovvero la misurazione. Robert Spitzer è considerato uno dei più grandi luminari della disciplina, proprio per suo lavoro sulla redazione di standard universalmente riconosciuti per la diagnosi dei disordini mentali. Spitzer è scomparso venerdì all’età di 83 anni a causa delle complicazioni di un problema al cuore a Seattle, dove viveva con la moglie Janet Williams. Lo psichiatra statunitense è conosciuto per due fondamentali traguardi: la creazione dei moderni parametri di diagnosi, da una parte; dall’altra, è grazie a lui se oggi l’omosessualità non è più considerata una malattia.
Robert Leopold Spitzer era nato a White Plains (New York) nel 1932, figlio di immigrati ebrei dall’Est Europa. Il rapporto tormentato con i genitori ne ha segnato la carriera da psichiatra: descrisse suo padre come freddo e distante mentre la madre era in un lutto perpetuo per la morte di meningite di un’altra figlia. Appassionato di psicologia già da adolescente, studiò alla Cornell e alla New York University, lavorando poi come ricercatore principalmente alla Columbia.
Il momento della ribalta furono gli anni Settanta con la redazione della terza edizione del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) pubblicata nel 1980, grazie alla quale conobbe la sua terza moglie Janet Williams. Il DSM, in inglese Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è la Bibbia del settore. Grazie a esso è possibile conoscere i sintomi di qualsiasi disturbo mentale sia mai emerso, e servirsene per determinare una diagnosi con una certa precisione scientifica grazie a un elenco di cui si possono barrare le caselle. Tra il DSM-II e il DSM-III, grazie a Spitzer, si passò da un librettino di 134 pagine a una specie di enciclopedia di 567, ma non fu quello il cambiamento maggiore da lui introdotto. Vennero inseriti moltissimi termini del lessico psichiatrico, entrati poi a far parte del vocabolario quotidiano, tra cui anoressia, bipolarismo, attacchi di panico e disturbo da stress post traumatico. Qualche altro termine che implicava un certo giudizio venne sostituito con un altro più clinicamente neutro, come “frigidità” che si trasformò in “inibizione del desiderio sessuale”, mentre alcuni disturbi più generici vennero divisi in problemi più specifici, come la voce sull’ansia che fu triplicata in attacchi di panico, fobia sociale e disturbo da ansia generica.
Non che la cosa abbia fatto contenti proprio tutti, e del resto Spitzer possedeva un certo gusto per la provocazione per cui si era fatto tanti amici quanti nemici. Per esempio il suo metodo non piaceva ai vecchi freudiani, che non apprezzarono la messa al bando del termine “nevrosi”: Spitzer dava priorità ai sintomi tangibili mentre poca gli interessavano i misteri dei conflitti del subconscio. E poi alcune femministe protestarono nel vedere, nel lungo elenco di malattie mentali, anche la cosiddetta PMS, o comunissima sindrome premestruale.
La svolta più rivoluzionaria introdotta da Spitzer nella psichiatria fu senza dubbio la cancellazione da quell’elenco di disturbi mentali dell’omosessualità. Tutto ebbe inizio negli anni Settanta, mentre prendeva parte ai convegni della American Psychiatric Association. Non era ancora uno psichiatra affermato ma erano gli anni in cui iniziò a costruire la propria autorità. Ai tempi era cosa comune che attivisti per i diritti degli omosessuali si presentassero per manifestare contro il fatto di essere considerati malati, e di non riuscire a ottenere cure valide in quanto psicologi e psichiatri si concentravano solo sull’omosessualità invece che su veri problemi di ansia o depressione. Dopo uno scontro nel 1972 in una conferenza a New York, Spitzer decise di dare loro ascolto. Inizialmente non credeva avessero ragione, confesserà in un’intervista, ma fu spinto dall’idea di andare controcorrente, di fare l’avvocato del diavolo. E così l’anno successivo organizzò una conferenza dell’APA a Honolulu in cui chiamò a parlare e ad argomentare esponenti di entrambe le teorie. In quell’occasione ebbe un confronto con alcuni psichiatri omosessuali e si convinse della necessità di eliminare l’omosessualità dal catalogo del DSM. Fu proprio questa battaglia a portarlo qualche anno dopo a vedersi affidare la curatela della terza edizione.
Quando psichiatri della vecchia guardia cercavano di farlo tornare sui suoi passi, Spitzer faceva appello alla sua arma preferita, la logica. “Una malattia mentale – aveva spiegato all’epoca al Washington Post – deve essere associata o a una angoscia soggettiva, cioè dolore, o a una mancanza in qualche funzione sociale“. In parole povere, se i gay erano contenti nella loro condizione di essere gay, dove stava il disturbo? Spitzer offrì poi anche un furbo compromesso, e nelle ristampe del DSM-II la voce dell’omosessualità fu sostituita con “orientamento sessuale egodistonico”, o per i comuni mortali un sentimento di infelicità o insoddisfazione legato al proprio orientamento sessuale.
Nel 2001 fu sul punto di rovinare il rapporto costruito nel tempo con gli attivisti per i diritti Lgbt con la pubblicazione di un saggio sul successo della terapia riparativa effettuata su persone omosessuali; praticamente un tentativo di far loro cambiare orientamento, ma nel 2012 chiese pubblicamente scusa rinnegando la validità della teoria in un’intervista rilasciata al Times.
Il suo lavoro in campo psichiatrico, lo portò sulla copertina del Time e persino a un’ospitata in tv dalla nota conduttrice Oprah. Il suo DMS-III fu un bestseller.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(28 dicembre 2015)