Je suis Paris
Ridere, la nostra resistenza al male

fnm graffitoRipercorrere da Parigi questo 2015 terribile e inquietante non suscita certo facili ed esilaranti emozioni, eppure nello sconquasso generale di una stagione che molto probabilmente passerà alla storia come quella della frattura, della morte dell’ottimismo e della vita spensierata, qualcosa cambia anche sul fronte della risata. La sfrontatezza della vignetta in prima pagina dello Charlie Hebdo in edicola all’indomani delle stragi di novembre (“Loro hanno le armi, noi lo champagne”, afferma spavaldo tracannando alcolici un tale crivellato di colpi) assume in questo modo un significato che va al di là della pura e semplice provocazione.
Proprio la redazione del settimanale satirico preso di mira nei primi giorni del 2015 ha costituito e continua a costituire un laboratorio dove la risata libera e disinibita va al di là del puro sfogo nervoso e in qualche modo fa il suo ingresso nell’universo politico. Ridere, e farlo pubblicamente, potrebbe costituire, se non un bell’ideale, per lo meno una forma di resistenza. E in definitiva, a giudicare dai risultati di uno studio collettivo imponente coordinato dallo storico e specialista di Rivoluzione francese Pierre Serna (La politique
du rire. Satires, caricature et blasphèmes. XVI-XXI siècles
), dal Rinascimento a oggi una politica del ridere si è sempre fatta sentire. Ridere per sdrammatizzare, ma anche per sminuire, per sviare i propri avversari. Ridere,
purtroppo, per imbarazzare e per umiliare i deboli, i perseguitati e le minoranze. Ridere per sdrammatizzare. Per destituire i prepotenti, per opporsi ai tiranni.
fluctuat nec mergiturChi frequenta Aristofane potrà sempre dire che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Ma la politica del ridere viene fatta risalire dagli esperti al sedicesimo secolo. Nel 1589 il re Enrico III è il primo regnante francese a finire nel mirino di un vignettista. Da allora, spiega Serna assieme alla sua equipe, molti hanno tentato di fermare il treno in corsa della satira, ma ben pochi possono dire di esserci effettivamente riusciti senza farsi male. Si arriva così al ridere del ventesimo secolo che Bergson annuncia, e non a torto, come un potente fattore
di crescita della società repubblicana. Eppure sono proprio i reazionari e gli antisemiti viscerali a cercare di utilizzare le stesse armi lasciate loro disponibili dall’avanzare della libertà d’espressione. Con Edouard Drumont
(1844-1917) la combinazione velenosa fra le arti dello sberleffo e la patologia dei complottisti e dell’antisemitismo delirante tocca un apice forse mai dopo mantenuto.
Ma se la satira può essere uno strumento duttile e molto insidioso nelle mani di chiunque lo sappia usare con malizia e intelligenza, alla prova dei fatti sembra essersi rivelata un’arma particolarmente utile per gli amici delle libertà civili e si candida fortemente a diventare la bandiera di uno schieramento trasversale fra cittadini che vogliono opporsi con ogni mezzo alle prevaricazioni e alle violenze degli attivisti islamici e dei balordi manovali della morte.
joann-sfar-fluctuat-nec-mergitur_177601_w620Ben lungi dall’esaurire un argomento estremamente complesso e soggetto alle grandi mutazioni che ci scorrono sotto gli occhi in questi mesi, l’opera di Serna, nonostante contenga numerosi e appassionanti studi, serve appena a dare un rapido sguardo d’orizzonte e a comprendere quanto ci sia ancora da studiare. E non è un caso se l’antologia di studi si soffermi anche su temi ancora scarsamente analizzati, come per esempio una originale lettura di quello che è avvenuto sulla piazza Tahrir durante la primavera egiziana del 2011.
“La laicità – osserva Serna, domandandosi cosa significa davvero per uno storico il caso Charlie – non si fa definire da un’asserzione negativa. Non è la mancata manifestazione della propria appartenenza religiosa, il rifiuto del proselitismo nello spazio pubblico. La laicità è un valore positivo: la possibilità e la libertà di credere o di non credere nei dogmi di una religione, la possibilità e la libertà di ridere, la possibilità e la libertà di non ridere di quello che fa ridere qualcun altro, la possibilità e la libertà di essere d’accordo sul fatto che non si è d’accordo come forma di libertà e di tutela per tutti. Questa libertà è il risultato di una lunga storia che combina il ridere come forma di espressione naturale e culturale, complessa e ambigua, alla fondazione della politica moderna che si costruisce nello spazio pubblico con la partecipazione degli irridenti e al rischio dei beffardi”. Un ragionamento appena ai suoi inizi nel nuovo scenario che si delinea, ma che ancora una volta fa risuonare come omaggio ai martiri dei massacri di Parigi e della redazione di Charlie Hebdo le parole di un uomo, Napoleone Bonaparte, che non risparmiò le sue attenzioni alle armi da fuoco, ma tentò per quanto possibile di conservare la sua lucidità: “Fra il fucile e la penna, in definitiva, è sempre quest’ultima ad avere la meglio”.

gv

da Pagine Ebraiche, gennaio 2016

(6 gennaio 2016)