Madri d’Israele
Felicita
Il mese scorso ho avuto la straordinaria opportunità di rivivere l’esperienza del viaggio in Israele organizzato dalla Scuola Ebraica di Milano.
A differenza di cinque anni fa, periodo nel quale ero un giovane scolaretto dallo zaino pieno di cianfrusaglie inutili e il sorriso ricoperto da strati di ferro, questa volta mi sono cimentato nel ruolo di guida, educatore e animatore della classe visitatrice. Una classe composta da un gruppo di ragazzini dolcissimi, brillanti, vivaci al punto giusto.
Tappa imperdibile di questo viaggio memorabile è stata la Sala dell’Indipendenza, ovvero la piccola e spoglia stanza nella quale venne dichiarata la fondazione dello Stato di Israele nel non tanto lontano 1948.
Sala in cui ho ritrovato con commozione la mia Madre d’Israele.
I capelli un po’ più castani, la montatura degli occhiali in plastica e non più in metallo, tuttavia il tempo sembra non passare mai per Felicita Jakoel, una donna diventata un vero e proprio monumento locale.
“Sono nata in Albania”, comincia a narrarmi il suo racconto. “Un cugino di mio padre era riuscito a procurarci un televisore, uno dei pochissimi pezzi in circolazione nella mia città natale. Trascorrevo le giornate a guardare quello schermo in bianco e nero, sono cresciuta con la Rai e grazie alla Rai. Quando c’era Sanremo, casa mia si riempiva a tal punto che i miei genitori dovevano uscire per cedere il posto alle decine di ospiti che si affannavano per conquistarsi un posticino quanto più comodo.”
La vera svolta avvenne nel 1991, quando le frontiere israeliane si aprirono e lei, insieme alla sua famiglia e i 350 membri della sua Comunità, si trasferirono definitivamente nel nostro piccolo pezzo di terra, nel nostro piccolo pezzo di mondo.
“Era un sogno che si realizzava, ma dovetti presto fare i conti con la realtà che mi circondava”.
Felicita era infatti un’affermata pianista in Albania, ma, considerata l’ondata di migrati russi trasferitisi in Israele tra cui centinaia di musicisti, era molto difficile per lei fare della sua passione una professione.
“Sfruttai dunque il mio secondo dono: le lingue. Grazie alla televisione parlavo un italiano fluente, poi lo spagnolo, il greco, l’inglese e l’ebraico. Feci dei corsi che mi portarono alla Sala dell’Indipendenza, luogo che diventò per sempre la mia casa”.
La nostra protagonista si impegna giorno dopo giorno a trasmettere la storia della fondazione a giovani turisti, a intere famiglie, a superstiti della Shoah, a personaggi illustri, politici e celebrità di ogni tipo.
“Cerco di trasmettere emozioni e passioni oltre che un mucchio di nozioni, nomi e date. Cerco di trasmettere l’importanza di quel luogo, la singolarità di quella Sala. Lì inizia e finisce tutto, lì Ben Gurion pronunciò un discorso semplice, essenziale, un discorso passato alla storia. Lì si cantò per la prima volta l’inno di Israele, l’Hatikvah, tra lacrime di gioia ed applausi sentiti”.
E con lo stesso inno si conclude ogni incontro con Felicita, questa volta più toccante che mai.
Dietro agli occhi illuminati dell’intera classe, infatti, rivedevo me stesso pochi anni prima. Cantavo impacciato l’inno di Israele, avvolto in un impermeabile verde bottiglia e una sciarpa verde pistacchio (abbinamento sicuramente opinabile), speranzoso un giorno di trasferirmi anch’io nel nostro piccolo pezzo di terra, nel nostro piccolo pezzo di mondo.
E oggi, sono qui.
David Zebuloni
(14 gennaio 2016)