Incastonate nuove pietre d’inciampo
Torino, tre nomi per la Memoria

Unknown-3 Non c’è ancora nessuno al numero 90 di corso Dante questa mattina di Torino, fatta eccezione per un uomo dal cappello a tesa larga chino davanti al portone. Quest’uomo è Gunter Demnig, l’ideatore delle pietre d’inciampo, che si è assunto l’impegno, tanto morale quanto pratico, di presenziare alla loro collocazione in tutta Europa.
Oggi è il turno di Torino. Le pietre d’inciampo sono un modo di ricordare, un modo di incastonare la memoria nel cemento e nel selciato; segnano i luoghi dove abitavano le famiglie deportate durante il nazifascismo. Tre semplici targhe quadrate, tre nomi, tre date e qualche breve frase. Ma sono d’impatto, perché può accadere che lo sguardo di un passante cada su di esse e allora la memoria torni a vivere.
Unknown Alcuni giorni fa erano i nomi di Italo e Silvana Momigliano, a Fossano. Oggi i nomi sono quelli di Ugo Segre, Iolanda Momigliano e Tullio Segre, deportati ad Auschwitz e spentisi nei primi giorni di prigionia. Un capannello di persone, circa una cinquantina, circonda l’artista e un esponente delle forze dell’ordine cerca di dargli spazio mentre Demnig svolge la sua mansione e sprofonda nel cemento morbido le tre pietre gialle rettangolari. Poco lontano, una donna legge i nomi e racconta la storia della famiglia di corso Dante: sono presenti i parenti e dieci uomini fanno minyan e recitano il kaddish, accompagnati dalle parole del rabbino capo Ariel Di Porto, tutt’intorno i giovanissimi studenti della Silvio Pellico ascoltano con aria curiosa e un po’ scossa, perché non è un evento quotidiano.
“Cosa rappresenta la sua opera, in poche parole?”, chiediamo a Demnig. “Finché il nome non viene dimenticato, non lo è neppure l’anima. Queste pietre segnano la memoria dell’Europa. A livello intimo, nelle città”.
“Come mai un oggetto così prezioso viene posto a contatto col terreno, quindi coi piedi delle persone?”
“Ho provato a proporre di inserire le pietre direttamente nei muri, in vari paesi, da Lipsia a Torino, ma non ho mai ottenuto l’autorizzazione. Secondo me le persone provano ancora un senso di colpa, viscerale, e preferiscono non vedere le targhe attaccate ai loro portoni”
“Lei ha posto personalmente nel terreno tutte le sue creazioni. Per quale ragione?”
“Ha una funzione commemorativa e per me è il momento di massima realizzazione personale e spirituale. Continuerò a porre ogni pietra che verrà realizzata personalmente nel cemento.”
Presenti alla cerimonia molti torinesi, oltre ai giovani della Silvio Pellico e qualche passante che, già dal primo giorno, si è fermato a osservare le pietre.

Emanuele Levi

(15 gennaio 2015)