Il dibattito in Francia – Kippah, un simbolo irrinunciabile

Kippot - Giorgio Albertini“La Repubblica ha il dovere di proteggere chi indossa la kippah. E chi la indossa ha il diritto di vivere il proprio ebraismo come meglio crede”. Così il filosofo ebreo francese Bernard-Henry Lévy commentava negli scorsi giorni il suggerimento del rappresentante del Consistoire di Marsiglia Zvi Ammar, che aveva esortato gli ebrei a non indossare più la kippah “fino a giorni migliori”, in seguito l’attentato terroristico perpetrato contro un insegnante diretto in sinagoga. Figlie di un contesto di paura e sconfitta, le parole di Ammar hanno però scatenato la ferma reazione della società d’Oltralpe, dai leader ebraici ai principali esponenti del mondo politico, i quali hanno lanciato un vibrante invito a non rinunciare alla kippah. Un invito con cui, ha rivelato nelle scorse ore il settimanale Paris Match, si sono detti d’accordo anche la stragrande maggioranza dei cittadini francesi.
Il 70 per cento di loro si è dichiarato convinto che gli ebrei non debbano rinunciare a portare al proprio caratteristico copricapo. Una notizia che segue le dichiarazioni giunte negli scorsi giorni da più parti. Il gran rabbino di Francia Haim Korsia ha infatti affermato la necessità di “non cedere a nulla”, e con lui sono in molti a essere d’accordo, manifestando il loro sostegno con iniziative virtuali e reali.
Uno dei gesti più spettacolari è stato di certo quello della squadra di calcio dell’Olympique di Marsiglia. Il rav Korsia, nel condannare l’odio e la violenza antisemita, ha infatti anche invitato i tifosi a indossare un copricapo nella partita contro il Monpellier come segno di solidarietà alla comunità ebraica. “Quali che siano le nostre origini, siamo uomini e donne che desiderano vivere liberamente e in pace”, si leggeva sul sito del Club central des supporteurs de l’OM, il principale gruppo di tifosi della squadra, poche ore dopo l’appello del rav. “Porteremo un copricapo, un cappello, un berretto, in seguito alle parole del gran rabbino di Francia, semplicemente per far passare un messaggio di solidarietà, perché tutti questi attentati e queste aggressioni si fermino. Per non dover più aver paura di essere quello che siete, perché tutte le nostre culture siano una ricchezza”.
Smettere di indossare la kippah, ha poi fatto subito eco a Korsia il presidente del Conseil Représentatif des Institutions juives de France Roger Cukierman, “sarebbe un atteggiamento disfattista, di rinuncia che significherebbe darla vinta ai jihadisti”. In gioco ci sono dunque i valori repubblicani della lotta al razzismo e della libertà religiosa, e su questo si è espresso anche il presidente François Hollande: “È intollerabile – le sue parole – che dei cittadini del nostro paese si sentano inquieti e sotto attacco a causa della loro scelta religiosa e che debbano giungere alla conclusione di doversi nascondere”. Sono temi su cui il dibattito in Francia, dove in nome della laicità dello Stato vige il divieto di indossare simboli religiosi di ogni tipo in spazi pubblici, è sempre attivo e alimentato. Per questo ha fatto molto parlare la decisione di due parlamentari, Meir Habib e Claude Goasguen, di presentarsi addirittura nella sala dell’Assemblée Nationale con una kippah in testa, due giorni dopo l’attentato di Marsiglia. Un’iniziativa controversa che però, ha spiegato Habib, vuole lanciare il messaggio che “la libertà religiosa è un valore centrale in Francia” e che rinunciare alle kippot sarebbe una resa. “Non accetteremo una situazione in cui le persone siano spaventate di esprimere la loro identità ebraica – ha dichiarato – e il problema è più generale, riguarda tutta la Francia”.
Lo stesso Bernard-Henry Lévy ha lodato su Twitter l’iniziativa dello scrittore Yann Moix, che nel corso della trasmissione On n’est pas couché in onda sul canale della tv nazionale France 2, con ospite il primo ministro Manuel Valls, nell’interpellarlo sui fatti di Marsiglia ha tirato fuori una kippah. “Per farle la mia domanda, signor primo ministro, mi indosserò una kippah per solidarietà”, ha detto Moix rivolgendosi a Valls. “Non perché – ha specificato – scelgo un campo contro un altro, questa visione del mondo è abietta, ma semplicemente perché abbiamo assistito a un evento drammatico”.
Ha deciso invece di riderci su, con il consueto delicato umorismo, il vignettista Joann Sfar. Il celebre autore del fumetto Il gatto del rabbino, ha proposto sul suo profilo Instagram una lunga serie di disegni che ritraggono un panorama paradossale nel quale gli ebrei francesi per vivere al sicuro indossano la tenuta di un capo indiano e rinunciano alla kippah ritrovandosi così coinvolti in improbabili avventure, oppure indossano il burqa. E in un’immagine in palestra un insegnante dice: “Nel karate ci sono la cintura bianca, gialla, rossa e nera”, “E poi?”, chiede il bambino. “Poi, quando sarai veramente invincibile, potrai sempre provare a indossare una kippà”, risponde lui.
E ovviamente Sfar non è stato l’unico a usare i social, dove indossare la kippah è diventato decisamente virale. In una campagna virtuale titolata con l’hashtag #TousAvecUneKippa, tutti con la kippah, qualche volta grazie a qualche piccolo fotomontaggio il copricapo si trova davvero sulle teste di chiunque: compaiono tra i testimonial Brad Pitt e i suoi bastardi senza gloria, Vladimir Putin, un concentratissimo Lionel Messi che prega al Muro del Pianto, un già bianco Michael Jackson, e persino la Gioconda.
Il rabbino capo di Strasburgo Mendel Samama però non si è accontentato che le teste fossero coperte solo sul web ed è voluto andare davvero nelle strade. Così è andato di persona in una piazza della città alsaziana per distribuire kippot ai passanti, un’esperienza che gli ha lasciato uno sguardo davvero ottimista sul futuro. “Sono stato piacevolmente colpito dall’accoglienza così calorosa, dal sostegno alla Comunità ebraica”, ha affermato. “Abbiamo spesso la tendenza a infantilizzare la società, a credere che le persone non siano in grado di pensare con la loro testa, di avere le loro opinioni – la sua osservazione – opinioni che sono quasi sempre improntate alla tolleranza, al vivere insieme, al rispetto degli altri e l’obiettivo è di rafforzare queste persone nelle loro convinzioni che la società debba basarsi sul rispetto reciproco e sulla libertà”.

Francesca Matalon

Il disegno è di Giorgio Albertini.

(20 gennaio 2016)