…pregiudizio

Massimo D’Alema in una lettera al Corriere della Sera (15.1.2016) in risposta all’ambasciatore di Israele Naor Gilon, rivendica il diritto di critica a Netanyahu senza che ciò implichi l’accusa di essere contro Israele. Il diritto è accordato, ne ha facoltà. L’affermazione che nessuno possa criticare la politica di Israele senza essere accusato di antisemitismo è falsa, anzi è faziosa, e lo dimostra ampiamente la recente grande ricerca sulle percezioni dell’antisemitismo fra gli ebrei europei sponsorizzata dall’Unione Europea e pubblicata dal Jewish Policy Research Institute di Londra. Gli ebrei europei sono disposti ad ascoltare critiche nei confronti del governo di Israele, a condizione che non degenerino nella diffamazione e nella demonizzazione dello stato. Sono invece insofferenti a forme di antisemitismo come la negazione della Shoah o le classiche accuse di strapotere economico e politico. Reiterare l’affermazione sulla non criticabilità di Israele, come fa ora D’Alema, è quindi una forma non solo di demagogia ma anche di vilipendio. Ma D’Alema non si ferma a Netanyahu e attacca altri obiettivi. Il primo è quando afferma che Israele ha invaso per tre volte il Libano “provocando la morte di decine di migliaia di vittime civili”. Questo dato è manifestamente falso, gonfiato e provocatorio. Certo ci sono state vittime in Libano, come in Israele causa i missili di Hezbollah, ma non certo decine di migliaia e per nulla comparabili quantitivamente con le odierne stragi di civili in Siria e in molti altri paesi arabi. D’Alema prosegue e scrive che “le forze israeliane si sono rese complici dell’orrendo massacro di ottocento fra donne e bambini palestinesi compiuto dai loro alleati falangisti nei campi profughi di Sabra e Chatila”. D’Alema si rituffa così nel feroce vortice di odio e di disinformazione del fatale anno 1982. I testi pubblicati allora dal Manifesto, dall’Unità, dalla Repubblica, dal Corriere della Sera e da tanti altri organi italiani di stampa costituiscono fino ad oggi un documento agghiacciante di violenza verbale antiisraeliana e antiebraica senza precedenti in tutti gli anni a partire dalla fine del regime fascista. La strage di Sabra e Chatila fu compiuta dai soldati delle falangi cristiane affiliate alla fede maronita che fa parte della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Non mi risulta che nessuno sia stato scomunicato per la strage di palestinesi compiuta dai cristiani, e se mi sbaglio sarò lieto di essere smentito. Gli israeliani all’epoca commisero l’errore di non impedire la strage perpetrata dai cristiani per vendicare l’assassinio avenuto pochi giorni prima del loro capo Bashir Giumayel. Dopo la strage operata dalle falangi, la commissione d’inchiesta Kahan deliberò l’interdizione a vita dal dicastero della difesa per l’allora ministro Ariel Sharon. Israele seppe prendersi le sue reponsabilità, e i cristiani si prendano le loro senza scaricarle sugli altri. Ma il fatto notevole è che Sabra e Chatila non c’entrano poprio nulla con la polemica odierna con Netanyahu, a meno che la polemica non sia contro Israele in quanto tale. Se D’Alema desidera polemizzare contro Israele a tutti i costi, come fatto inerente e senza connessioni logiche di tempo e di spazio, allora abbia la bontà di metabolizzare la vergognosa sequela fino in fondo. Subito dopo Sabra e Chatila attivisti della Cgil organizzarono la processione in cui fu deposta una bara davanti alla Sinagoga centrale di Roma. Gli attacchi infiammatori sulla stampa italiana continuarono senza sosta specialmente da sinistra, finché pochi giorni dopo quasi inevitabilmente ci fu l’attacco terrorista al tempio che causò la morte di Stefano Gaj Taché e il ferimento di 40 persone. Se a 33 anni dai fatti l’odierna Israele deve portare la croce di Sabra e Chatila, con la stessa logica Massimo D’Alema si assuma la sua parte nelle responsabilità della sua fazione politica di allora per la morte del piccolo Stefano. La polemica velenosa e insinuante a tutto campo, dove non è affatto chiaro se la causa di tutti i mali sia un certo primo ministro di Israele o la stessa esistenza dello stato ebraico, alimenta il senso di assedio che prova oggi una parte notevole della comunità ebraica in Italia. Nel 2015, 353 persone sono emigrate dall’Italia in Israele, la cifra più alta a partire dal 1950. Grazie anche all’effetto D’Alema.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(21 gennaio 2016)